Giancarlo Galante – APPESO

Appeso… appeso al bordo di un
foglio di finta carta, al bordo superiore, prima di cadere e scivolare alla
fine della pagina troppo presto per poter dire tutto quello che vorrei. Appeso
come quando tieni  una cassa di buon Barbour
del Kentucky tra le mani, in mezzo alla strada, e non sai che fare perché
vorresti tornare a casa ma quella cassa pesa troppo e non sai se bere il
contenuto col rischio di non arrivarci più a casa o abbandonarla, o regalarla…
sarebbe veramente un peccato se capitasse nelle mani sbagliate.  Apro la porta della stanza, faccio 3 metri e
arrivo dritto in cucina.

C’è il frigorifero e il televisore, sempre acceso su
canale 5. Mentre cerco un po’ di succo di ananas, uno di quelli che non potrei
toccare visto che di norma si dovrebbe utilizzare solo per mischiarlo con il
Notropil di mio padre, Totti parla impropriamente del  10, del rapporto misterioso con questo numero
iniziato da tempi immemori. Penso che non sia sufficiente parlare del numero 10
per potermi affibbiare una Cristo di scheda Wind in promozione. Esco da questo
buco, un po’ d’aria mi servirà.

L’ascensore sa dell’alito alcolico del mio
vicino del terzo piano, Pietro. Pietro non è propriamente un ragazzino, direi
più che altro un quarantenne che non accetta di essere diventato adulto. Spesso
lo vedo appostato davanti al negozio della fioraia sotto casa mia. Penso che
non la conquisterà mai se continua ad aspettarla leggendo Tex seduto sul
gradino di fianco con una bottiglia di vino da 4 soldi appena aperta e già a
metà al primo sorso. Mi guardo allo specchio, prima o poi dovrò curarmi questa
dermatite. Odio perdere parti di me. Apro il portone con non poca difficoltà.
La giornata promette bene. Esco dall’ombra in cerca di qualche buona notizia,
al sole si sta decisamente meglio. Un immagine di te che sei in un buco di
negozio a vendere coperte a persone indecise per via  della scarsa attitudine all’abbinamento.
Prendo la macchina. La Punto ha un problema al finestrino destro, per cui se
voglio fumare devo spalancare quello sul lato guida.

Guardo alla mia destra
nella speranza che sia rimasto uno spiraglio dal finestrino posteriore, quello
che di solito lasci tu per risolvere il problema. Fa niente, sono abituato al
fumo passivo, e sono ancora giovane dopotutto. Guardo fuori, vorrei che ci
fosse New York o Detroit di fronte, invece sono a Reggio Calabria. Avendo
un’attitudine all’orientamento pari ad una medusa, non so se girare a sinistra
o a destra. Delle volte non ricordo neanche dove sto andando. In linea di
massima devo solo cercare un buon motivo per poter tornare a casa sereno,
perché la sera sarà veramente lunga se non avrò combinato un cazzo. Come in una
bolla di sapone, mi lascio trasportare dalle onde emesse dalla musica che ho di
sottofondo. Mi hanno passato un cd ultimamente, Majakovskij  è stato spulciato ben “Bene”. Non è adatto al
momento, serve qualcosa per caricarmi.

Penso a quel frigo pieno di bibite e
alcolici che ho sognato stanotte, a quella freschezza che mi ha fatto prendere
il raffreddore al risveglio. Penso che dovrei andarmene al più presto, penso
che dovrei portarmi solo te, la chitarra un sacco a pelo e qualche ricordo. ho
poca benzina. Prendo le 89 miglia orarie sulla superstrada . Ecco sono
scomparso magicamente. Gli anni ’70, quelli d’oro, non erano poi così lontani.
La prima cosa che vedo è un cazzo di cane con il maglioncino tenuto al
guinzaglio da una donna a zampa di elefante, tutta, interamente.

C’è troppa
polvere.

Accosto e le chiedo dove fossimo. Mi guarda stranita a causa del mio
aspetto bizzarro, si toglie gli occhialoni dal viso e mi dice

«Hey amico ti sei
impasticcato? Dove vuoi che siamo? E dove credi di andare adesso se non sai
dove sei? Ci giri intorno al problema chiedendomi dove sei? Hey amico cazzo,
cioè dovresti proprio saperlo dove sei altrimenti sei rovinato,dico io!».

Eh beh, c’aveva ragione la
tipa. In effetti bastava solo guardarsi un po’ attorno per capirlo. Avrei
voluto dirle qualcosa, ma non mi è venuto niente di meglio che un “grazie”. Ti
penso in versione anni ’70 e mi spunta un sorriso.

Accendo una sigaretta, chiudo
la macchina con l’allarme e la copro con uno dei miei 3 teli che porto nel
bagagliaio da tempi immemori. Fa caldo, non avevo preventivato la stagione. Ho
un maglione e qui è estate. Mi metto in maglietta, anche Iggy è accaldato oggi…
ha una faccia!

Dopo anni di attesa… capisci che stavi guardando, stavi
guardando nel posto sbagliato.

Allora mi chiedo: “Cosa faresti tu se tornassi
indietro?”.

Mi diresti di non guardare mai indietro.

E continuiamo ad andare
avanti allora, appesi al bordo della pagina a detestare chi continua a
combattere contro i mulini a vento perché ci somiglia troppo, in attesa di quel
fatidico giorno in cui saremo seduti su quel bordo e col culo ben al caldo
diremo: “Da qui vedo tutto”.

 

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