ROBA DA RAGAZZI -Hasael-

quel che resta dell'abbuffata

Serata pietosa, come al solito partita con le migliori intenzioni, le migliori fantasie.
Eravamo noi a non essere decisamente i migliori, è qui che la cosa s’inceppa, un gruppo male assortito che cerca libero sfogo alle peggiori libidini.

Il posto non merita molte cerimonie, classico locale da nord est annoiato, tipiche scale squallide e gelate, da imboccare come una discesa nel girone della sfiga. Tutto è fin troppo tipico, barman che difficilmente vedi due volte di fila dietro allo stesso bancone, neon dai colori improbabili che saturano lo sguardo di puro fastidio, stesse marche fetidamente “in” di alcolici e tipica imbranataggine, che unite, hanno come esito un beverone annacquato che si ostinano a farti pagare come cocktail, giusto per scucirti i tipici cinque euro.

Musica.

Stesso giro di noia targata Doors, stessa fanghiglia sonora marchio west coast, che qualche punkettino, più fangoso della stessa melodia, cerca di ballare lanciandosi in un improbabile pogo, a sua volta inutile quanto il tempo trascorso dall’ultima volta che si sono esibiti i sex pistols. Ad un rapido sguardo questo è lo scenario post umano che mi si para davanti, condito con l’arroganza ingorda di una miscellanea di esistenze, avide di un’estensione colloidale del tempo che chiamano vita.

Non puoi nemmeno fumare dentro a questa scatola.

Osservo con un senso di nausea le ondate di esistenza prorompere dalla porta d’ingresso con un andamento afasico, sembra di vedere una valvola cardiaca difettosa, che pompa zaffate di plasma semi rappreso, senza un ritmo definito, con vortici e riflussi che rimettono in circolo gli stessi grumi di globuli rossi, con facce piatte, sulle quali sono stati ricavati sorrisi smaglianti.

È il momento di fare una visita al girone dei viziosi, a suon di spinte ci facciamo largo verso i cessi, il socio mi segue ad una spanna di distanza, io apro la strada come un vomere che spacca zolle di terra argillosa dura come la siccità.

Il peggio non ha un limite assoluto.

Piastrelle marroncine simil maiolica, tipica di quegli appartamenti tirati su negli anni settanta, che anche se vissuti per anni, ti si torcono sempre le budella quando ti arrischi a chiamarle casa, tipico squallore figlio di una stagione di vacche grasse, che per ingordigia sono state fatte esplodere nel tentativo di realizzare più peso possibile, con l’unico risultato di ritrovarsi immersi fra tonnellate di carne putrescente che farebbe schifo anche ad uno sciacallo. Inoltrandoci nell’antro del vizio il gelo umido si fa strada tra i vestiti, la condensa viene giù in rivoletti luccicanti, donando a quello squallore piastrellato, anche la vivida sensazione sin estetica della muffa.

Cessi, tutti senza porte tranne uno,  li si entra sempre in coppia, ma non è l’alcova dell’amore ai tempi del tetano e della scabbia, è solo un cubicolo nel quale ricreare il minimo di intimità consentito da una porta chiusa, per poter lavorare di bancomat e ridurre in polvere una piccola pietruzza pallida.

Il risultato sono quattro linee cristalline sulla porcellana di quart’ordine della vaschetta del WC, Il rituale è rispettato,lo squallore c’è tutto, il freddo che ti irrigidisce le narici, le dita viola, e il naso appena sturato da un paio di inalate di rinazzina.

Rituale svolto meticolosamente, ma il miracolo non avviene, mi sento esattamente come prima, tranne un’incazzatura mastodontica, che sta sputando la placenta per emettere i primi vagiti. Come una creatura covata dentro per dei mesi ha bramosia di esistere e ora fa passi da gigante in questo suo intento, quando infilo la porta per tornare nella sala, la mia bambina ha già imparato a bestemmiare e sa armeggiare una calibro 45.

Cerco di placarla con un quattro bianchi, ma lei non è come un problema esistenziale che si diverte a fare il morto nell’alcol, no, lei diventa campionessa di stile libero e solca il gin come una sirenetta. Ok bimba andiamo a nanna, col socio ci facciamo marchiare la mano e salite le scale ci rintaniamo in macchina a preparare il rito della buonanotte, un rito erboristico, che placa i demoni. Per un po’ la belva è tranquilla, l’ultima volta che me n’è nata una è finita con un tizio che si teneva la faccia mentre non smetteva di singhiozzare e sputare roba viscida e rossastra tra le mani chiuse, una scena veramente pregna di significato fisiologico, si! Una vera botta di vita, io ci rimediai un polso dolorante e un senso di colpa che sparì appena accesa una sigaretta.

Con il mio demonio in stato vegetativo, appollaiato tra la ghiandola pineale e l’ipofisi, il socio fedelmente al mio fianco, ridiscendiamo verso la bolgia pulsante.

Le anime perse con le facce plasmate in modalità “sollazzo del sabato sera”, continuano nella loro danza robotica e scoordinata, mi assale un senso di noia mista ad inadeguatezza e nausea, una sensazione di assoluta inferiorità e insondabile infelicità, inspiegabile certezza di essere fuori da ogni metro di paragone. Essere privo di parametri per spiegare la vibrazione che mi avviluppa, essere spettro visibile di una frequenza aliena, non riuscire a stabilire un contatto pur potendo osservare, non riuscire a percepire pur essendo perfettamente in grado di udire, fiutare e toccare, come essere avvolti in una membrana che annulla le intenzioni, rendendo totalmente inesplicabile linguaggio, visione, temperatura, tatto e un’altra schiera di fenomeni percettivi.

Esserci, pur non appartenendo all’orizzonte di senso di centinaia di astanti, che pur girandoti attorno, urtandoti e scansandoti, non ti assumono come presenza. Mi sento funzionalmente inferiore ad un bicchiere o ad un accendino, escluso, inutile, inadatto.

Continua a risuonare qualcosa nella sala, battiti incalzanti vomitati da grappoli di altoparlanti che penzolano dal soffitto, continua imperterrito il fluire ritmico di corpi animati da quell’incessante pulsare martellante e sordo, temo che se dovesse crollare il muro sonoro che ci avvolge, tutti si affloscerebbero sul pavimento come pupazzi di carne senza né ossa né cartilagini, solo fluidi, muscoli flaccidi, adipe, capelli, vestiti e scarpe.

Masse informi, ciondolanti dagli sgabelli o spalmati sui divanetti, tutti in attesa che l’alito di un dio a caso dia loro una gonfiata, per recuperare una forma approssimativamente umana. Perché io non dovrei seguire questo informe destino? Ah già; io non appartengo a questo sistema esistenziale, loro non me lo hanno consentito, dovrei rimanermene seduto con questo bicchiere trasparente tra le mani a far finta di gustare l’alcol snaturato da un iceberg di ghiaccio e attendere la venuta del grande mantice o del gommista che compia il miracolo.

Ma la vibrazione battente non si placa, quindi niente esistenze molliccie spalmate sul pavimento e il mio bicchiere è vuoto.

Ora la porta non pulsa più si limita a risucchiare rivoletti di plasma, non ci resta che seguire il flusso, risalire le scale e prendere una sberla di gelo tardo autunnale in faccia. Si riparte, e il paesaggio ricomincia a srotolarsi fuori dal finestrino, l’alternarsi di paeselli, nulla e fabbriche ricomincia, come una partitura gigantesca della quale non riesci ad individuare un periodo ripetuto, troppo grande, troppo complessa.

Man mano che si procede a ritroso, verso casa, il messaggio subliminale diviene d’un tratto chiaro, troppa erbaccia sui piazzali delle fabbriche troppi balconi vuoti, troppa vita fuggita, la conseguenza di quelle tonnellate di carne marcia rimasta sul groppone ad un territorio troppo ingordo. Insegne spente, qualche bandiera lisa tenta di far finta di oscillare, ancora forse troppo avvinghiata al giorno in cui fu piantata lì per marcare un moto di disappunto operaista. Un tentativo come tanti per rimandare l’inesorabilità di eventi pronti a divenire storia recente. Fatto sta che le bandiere sono ancora lì, è tutto il resto che è scomparso, progetti, mutui, salari, ferie pagate, vacanze, rate e assicurazioni.

Un bel pacchetto protocollato sigillato e spedito in discarica a far compagnia alle vacche schiattate in un’indigestione di superbia. Ora rimangono solo le parole orfane e vedove di significati coniate da illuminati che hanno preso il volo verso paradisi fiscali o nazioni in crescita verticale. Parole buone solo a consolare qualche stolto che, come un naufrago, si avvinghia a significati in avanzato stato di putrefazione e i sogni di disincagliarsi da un paese considerato arretrato, per veleggiare verso un futuro federalmente proficuo, ora sembrano peggio delle favole dei fratelli Grimm, rimaneggiate in chiave nostrana.

Non c’è una morale o un lieto fine che possa salvarvi da una realtà da incubo.

Buonanotte stronzi!

 

 

 

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ONLINE IL NUOVO ARTUINDENFAIR: PROPHECY

 

 

COS’E ARTUINDENFAIR?

ArtuindenfAir è una web-zine anomala, un vento
culturale, politico, esistenziale… che sulle strade del mondo non
semina soltanto tempeste ma anche fraternità, solidarietà e amore… là
dove regna la stupidità, la mediocrità, la schiavitù… “Parla un po’,
così che possa vederti” (Socrate), diceva… possono parlare della
miseria soltanto coloro che hanno avuto fame. La cultura, nella sua
interezza, è una sequela di cadaveri in croce. Tra i senza patria dei
saperi, pochi si sono inventati le parole, il plagio e la disinvoltura
o il calambour di tutti i linguaggi del comunicare… nessuno, o quasi,
sfugge alla cittadinanza della propria mediocrità o intelligenza
insorta.

Un cattivo maestro che abbiamo incontrato sulla nostra strada di
cani perduti senza collare: “Più della metà di coloro che, nel corso
degli anni, ho ben conosciuto aveva soggiornato, una volta o varie,
nelle prigioni di diversi paesi; molti, certo, per ragioni politiche,
la maggior parte tuttavia per reati o crimini di diritto comune. Ho
quindi conosciuto soprattutto i ribelli e i poeti… solo alcuni crimini
di un genere nuovo, di cui certamente non si era potuto udire nel
passato, avrebbero potuto non essere indegni di me” (Guy Debord). Non
si tratta di svaligiare banche e ri/distribuire il denaro rubato ai
poveri… né di ammazzare qualcuno nel nome santo di una qualche
rivoluzione… gente come noi che è stata allevata nella pubblica via non
immagina altra rivolta che non sia la – prossima!

Questo ha detto Mario Zappa

Per il FREE DOWNLOAD in formato PDF clicca qui: http://www.artuindenfair.com/download

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BASILIO CAMPANELLA – III ATTO

La rivolta dell’attualità è che al momento

un uomo

è morto proprio al momento in cui uno si accorge di vivere;

la rivolta della sconfitta è quando quest’ultimo

s’accorge di non poter gridare

e nel silenzio prende coscienza della sua morte già
trascorsa

come un essere scopre che la luce di una

stella

dell’attualità

è molto più vecchia.

 

La rivolta del passato è tornare alla miccia

proprio un po’ prima dell’esplosione

e fermarla lì

a bruciare in eterno.

 

 

Così l’attualità propose e la sconfitta asservì.

 

Il passato no,

propose invece,

l’attualità si confuse in un composto statico

rimanendo confusa, la sconfitta s’asservì.

 

Nel silenzio di domani vedo in una agenda l’attualità

appunta:

rivolta e lotta.

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SETTE TIZI CAPITALI

 

Qualcuno ha capito qualcosa del perche? Ecco la domanda che
ci siamo posti quando ci è stato commissionato un intervento a cuore
aperto su un tema malato come i vizi capitali.

Gli
Autori Appesi ci hanno messo del loro, peccando e preferendo peccatori
a peccatrici, pomodori a lavatrici, presuntuosi a due cornici. Abbiamo
fatto mente al locale nel quale seduti potevamo sbadigliare e sbiadendo
il ricordo del perchè volessimo farlo lo abbiamo fatto.

Posto anche che fossero ancora vivi sarebbe bene chiarire che quei sette tizi capitali meriterebbero ancora un goccio.

Sul prossimo
numero di Inscena Magazine (www.inscenamag.it)
verranno raccontate
sette storie capitate che causatamente hanno a che vedere con il trauma
del mese. Se non lo trovate in edicola potreste scaricarlo dal portale. 

A più mai!

(P.S.: ringraziamo Michele Rieri per la foto! www.michelerieri.com)

    

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Anche tu ami Ciriaco?

Sai scrivere una storia d’amore?

…o magari una storia che sfoci in uno stalker impazzito per la passione non corrisposta o una storia in cui qualcuno (tu?) faccia come oggetto del suo amore un cane, un iguana un maledetto feticcio che mi porto in tasca come mio nonno fece per tutta la sua vita prima di lasciarmelo in eredità…

Autoproduzioni Appese sta raccogliendo dieci storie d’amore, dell’amore che è fissazione e guida verso il baratro del Paradiso… l’amore chiamato Ciriaco!

Anche tu ami Ciriaco?

Manda la tua storia alla seguente mail : allaredead@alice.it
ti rispondiamo di sicuro dopo aver letto il tuo racconto!!!

Arriva il Laboratorio degli “AUTORI APPESI”

Per noi è davvero un piacere aver finalmente fatto i conti noi stessi.

Ne è uscito che abbiam messo su i soldi necessari per compare una cassa di birra a settimana ed incontrarci al Centro Sociale "A. Cartella", in via Quarnaro I a Gallico (RC), solo due giovedì al mese (non sappiamo di preciso quali… ma sono 2 giovedì al mese).


L’Alcolisti Anonimi della scrittura vuole essere un viaggio estrospettivo affinchè le capacità che nessuno si riconosce possano finalmente essere palesi e condivise  senza paresi e contro le falcidiate ed agognati e misere rispercussioni di un quotidiano dal quale non vorremmo attingere per alcuna notizia.

Siete pronti?

 

 

Eccoci!


appese@autoproduzioni.net

Autoproduzioni Appese è la concretezza di una verità nascosta tra le trame larghe di una bugia ben detta… Autoproduzioni Appese è la costola di Adamo che impaurita dal maltempo preferisce arrostire alla griglia piuttosto che reinventarsi in Eva. In una Eva furba e bellissima, misteriosa e appetibile come un manoscritto di un vecchio parente ritrovato in un anfratto del ripostiglio e sul quale la polvere ha deciso di riposare in attesa paziente di un soffio che ne lasci intravedere il titolo:  PaRoLe A PeSo!
Il laboratorio letterario PaRoLe A PeSo è la naturale espressione dell’urgenza di operare in modo parallelo ma indipendente dal sistema di comunicazione di massa in essere. Le parole sono un peso che va portato con orgoglio. Meritano di viaggiare serenamente attraverso gli uomini ed il tempo. La proposta nasce nell’ottica di attraversare le forme della letteratura in tutte le sue forme (dalla poesia al racconto, al romanzo, all’improvvisazione su temi in divenire) e sottolinearne gli aspetti caratterizzanti ed il potenziale delle parole. L’idea è di proporre (rivendicare in qualità di mandanti) la libertà delle parole incastonando gli accenti e le espressioni affinché la comunicazione in senso esteso, vittima di stereotipati compromessi, possa realmente far parte del quotidiano in tutti i suoi aspetti e nelle forme in cui si manifesta. Non necessariamente un vincolo per “pochi eletti”, piuttosto la cartina al tornasole di quanto succede quotidianamente attorno a noi. Chi la vita la vive e ne trae spunto, anche a partire da un semplice input, per la creativa struttura di incroci stilistici e contaminazione culturale. I poeti sono quindi liberi interpreti dalle spalle larghe. La musica che accompagna le letture ne racchiude insieme la comprensione e l’essenza. Nello specifico, l’alternarsi dei poeti coinvolti è anche la voglia di comparteciparne la proposta e ciò che da essa può scaturirne. Un’Alcoolisti Anonimi della scrittura. Un’anticamera ideale… La dinamicità delle letture è scandita dello spazio dedicato agli “Estemporanei Estrapolati” nel quale chiunque ne abbia voglia può contribuire con la propria esperienza. Contributo all’esperienza ed al motivo per il quale PaRoLe A PeSo resta un’itinerante viaggio tra le culture e gli aspetti colti (o ancora da cogliere) del nostro tempo.
PAROLE A PESO… PAUROSI APPESI… COME SE LA MERCIFICAZIONE DEL CORPO E DELLA MENTE POTESSE ESSERE ACCETTATA PERCHE’, ESSENDO IN OFFERTA, PER QUESTA SETTIMANA POSSO PERMETTERMI ANCH’IO IL MIO CHILO E MEZZO DI MINCHIATE A FETTINE. PAROLE APPRESE… PAROLE A PESO… CONVIENE METTERSI A DIETA!