L’estate
del 1916 fu dolcissima. Nelle montagne intorno a Palizzi la ginestra sembrava
proprio la regina della stagione. I minuscoli fiori gialli facevano sorridere i
fratelli Romeo, quasi ventenni. Quando non si andava a mare, le passeggiate tra
l’erba erano il passatempo preferito per Giando e Cola. Ed in quelle lunghe
camminate, lontano da occhi indiscreti, davano sfogo alla loro fantasia. A chi
fosse capitato per caso da quelle parti, sicuramente non sarebbe passata
inosservata quell’inconsueta scena. I due giovani erano soliti rimanere spesso
fermi con il volto verso il cielo, a plasmare le nuvole come le loro innocenti
voglie suggerivano all’improvviso. Li si vedeva lì, per ore. Immobili. Ognuno
con i propri disegni stampati sugli occhi ed uno strano gesticolare che alle
ragazzine del paese faceva spesso sorridere. “Tra un po’ in manicomio
finiranno”, ripeteva lo zio quando passando con il carretto li sorprendeva
nella loro furiosa danza. E così passava l’estate. Giando a dipingere nell’aria
i suoi cavalieri antichi. Cola che non disdegnava di ripassare le forme dolci
delle figlia del mugnaio. Ma la tramontana autunnale fa presto a cancellare
tutto, così come la chiamata alle armi. I due giovani partirono dal paese a
fine dicembre, e dopo un bacio alla madre ritornarono a sfogliare l’album del
cielo. In caserma fecero irritare non poche volte l’ufficiale Fiorentino. Una
domenica di febbraio, con un tempo insolitamente bello per il mese, l’intera
squadriglia si apprestava alla marcia mattutina. Il secco “un due, un due”
dell’ufficiale stonava con l’intento dei due calabresi che d’improvviso si
bloccarono rapiti dalla maestosa figura di un leone, facendo sbattere i
commilitoni dietro e risolvendo l’esercizio ad un capitombolo generale. Una
tragedia: furono spediti subito sulle Alpi, a “crear contro il nemico una
barriera”. A fine ottobre il battaglione si diresse per Caporetto. I prati
ricordavano ai fratelli l’estate di casa ed il cielo sembrava promettere nuove
meraviglie. Era da poco passata mezzanotte nel campo italiano, che il buio fu
illuminato dai cannoni austriaci. Si sparò, e si sparò. Si morì e si sparò. Si
fece alba. I due fratelli, imbracciati all’artiglieria, davano dimostrazione di
forza calabrese quando, come uno schiaffo, i raggi di sole li colpirono negli
occhi. Giando, il più alto dei due, gettò il fucile ed iniziò a dipingere un
drago con due nuvole basse. Cola, invidioso, scattò in piedi per afferrare due
seni sodi che si formavano a nord est. Fu vano ogni richiamo del colonnello. La
raffica austriaca squarciò i due corpi sudati mentre le mani ancora plasmavano
il cielo.