Scrivo per corrispondenza, ti
scrivo da anni, prima o poi aprirai le mie lettere sgualcite cotte e soffocate
dal sole e dal Drin Drin delle bici dei bambini, freddolose nella cassetta a
cucù dove il postino le accarezza di tepore d’inverno infilando con la mano
l’ultima arrivata, innamorate di primavera, nel pulviscolo di pollini che
rutila dalle fessura tra lo schiudersi dei piccoli ospiti della tua cassetta di
latta con il nome inciso che si vede al rovescio dall’Interno. Ogni sei mesi la
mano paffuta del giardiniere le brucia, succede alla fine dell’estate o all’inizio
dell’autunno. Finiscono nel fuoco tra le foglie che intasano i viali e le
piscine vuote o piene dopo le tempeste di vento, tra le reclame che tuffano
senza paracadute dagli aerei, lanciano a mazzi dai furgoni in corsa di
improbabili Circhi. Le brucia in cataste di erba svenata dal sole o arrampicatasi
troppo oltre in un perfetto prato
all’inglese, tra il pitosforo che pretende di allungare rami oltre le leggi
della geometria rettangolare dei viali e altre amenità. Lui le spinge tutte, con
tutti questi amici, in piccoli roghi al centro di spazi rimessi a nuovo, poi, con
la pala, prende la cenere e la sparge sul disordinato orto di fiori andati a
male, di fronte alla casa. Ma c’è sempre un altro postino pronto a passare con
la borsa a tracolla e io continuo a scriverti per corrisponderti, per
corrispondermi. Sì perché sebbene tu lo ignori e sia sparito (nonostante paghi
ogni cosa perché la casa sia tenuta in perfette condizioni, perfino una donna a
lavarti i vetri ogni settimana, persino il ragazzo a lavarti la macchina in
garage, persino il giornale che cade nel corto prato ogni giorno e ormai lo ritira,
come abbonato, un vecchio barbone mattiniero, idem il latte di giornata sotto
il portico) e sebbene tu ignori tutto ciò, cioè ciò che ti scrivo, io ti scrivo
per corrispondermi. Scrivo a me stesso insomma lettere che bruciano nelle
pulizie stagionali da anni. Lettere che sono come il mio esserci ancora, in
pantofole al mattino, spalancando la bocca in pigiama nel cielo grigliato di
scie chimiche e non in questa cella imbottita, in questa nave in bottiglia,
dove mi invento anche la Biro, la carta, la busta, il francobollo, le parole,
gli a capo, le righe e le cancellature nelle risacche della terapia intensiva,
per scriverti, per scrivermi che va tutto bene e ricordati non esagerare con
gli amori spezzati, ricordati di non camminare a mente scalza sui frantumi dei
tuoi ricordi, ricordati di non ascoltare, con troppa intensità e passione,
quella canzone che da giovane ti faceva impazzire, che mi fa impazzire…