Francesco Villari – PAURA DELLA RUGGINE

 

 

 

Non avrei dovuto parlartene. Mi sarebbe bastato
alzare le mani e far finta che le dinoccolate intenzioni marcissero stupide
nella convinzione del mio interlocutore. Invece no: ho attaccato alle pareti
della stanza un discorso concorrenziale, di quelli che figo con figa non è solo
una questione di maschile con femminile ma a tal proposito imbastire un
discorso sarebbe voluto essere un’intenzione scaccia crisi.

Crisi?

Di che?

Quando?

Prendo lo Svitol e mi guardo negli occhi del
post serata. Io timorato da un Dio oscuro.

Quattro passi nel frasario dall’italiano
all’italiano che non mi permette di divagare sull’argomento. La questione delle
parole ottiene i risultati promessi ma ero affascinato dalla discussione ed
avrei voluto… avrei parlato… avrei pensato… nooooo? Pensare: ecco il dilemma.

Mi abbraccio fatiscente e mi rincuoro. Rincorro
le promesse e me ne vanto. Mi cambio e mi rivesto in una prigionia costrittiva
senza passare dal via. Banditi maledetti dalla questua.

Sotto sotto ci sono due coccodrilli ed un orango
ballerino. Il sentore. Il timpano in disaccordo. Perche? Sette le vite di un
gatto che invidio perché in qualità di uomo riconosco i limiti dell’umanità.

Mai perdere di vista il liquido per le lentine.
Torno allo Svitol. Monte dei pegni per gli impegni presi con me stesso. Con la
mia razza.

Ma che razza di posto è questo che trancia le
mie braccia a favore del padrone che ha voglia di me?

Ti va un giro di pista?

Vuoi ballare o mi temi?

 

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