Pino Amaddeo – MENTRE DORMITE

 
La casa di Satana si trova al
centro della vostra città

finestre a ghigliottina e pareti dipinte verde muschio.
 
L’ appartamento è un
monolocale privo di balconi.
 
Con me è sempre
carino, l’angelo della tenebre
ceniamo insieme ogni ultimo venerdì del mese.
 
Il suo vino è fatto in casa, non è
di sangue
è
fatto con uva raccolta da veri bestemmiatori
esattamente come me. Gente che non
chiede
a quel
porco di dio nessun compromesso.
 
Non chiederemo compromessi neanche a voi
luridi ruffiani di chiesa, di
partito e di stato
e
neanche a voi perfidi malfattori
venditori di sogni irrealizzabili, illusionisti.
 
La casa di Satana non ha tappeti
non ha fuochi e nemmeno forche.
 
Ci avete raccontato un miliardo di
frottole
un’infinità
di bugie che adesso regnano
nelle vostre vite benedette dai perbenisti
vite che si sono ormai tramutate in
trappole
trappole
di tutte le dimensioni e tutte senza uscita.
 
Satana vi osserva, vi scruta, vi
contempla.
Dio vi
perdona e chiede il vostro amore.
Satana se ne fotte dei complimenti.
Dio chiede preghiere e falsità.
 
Satana è anche nelle vostre case
di notte, mentre dormite vi ruba il
silenzio.
Dio
s’incazza e così arriva l’alba
per ricominciare un nuovo giorno
per ricominciare a far finta di
niente.
 

Julio Carnera – UNA BUONA POESIA

 

 

Una cattiva poesia
non dorme nel tuo letto,
non ti asciuga il
sudore dalle spalle
col respiro
dopo una notte umida
prestata
alle fiamme.

Una cattiva poesia
non ti scava negli occhi,
non
geme cavalcandoti l’anima,
non ti allunga un braccio sul collo
per
proteggerti
dall’inferno.

Una cattiva poesia
non è il
leone che ti danza sullo stomaco,
non è la tigre che ti artiglia le
spalle,
non ha l’odore selvatico
della vita
tra i capelli.

Una
cattiva poesia
non ti offre da bere,
non ti paga da mangiare,
non
ti riporta a casa sano e salvo
e poi ti dice
“TI AMO”.

Una
cattiva poesia
non da soldi in prestito
e parla la lingua degli
imperi,
ascolta cattiva musica
e spera sempre che tu abbia
un
buon lavoro.

Una cattiva poesia
non ha il sorriso
dell’eternità dorata tra i denti,
non ha mai letto Kerouac
né mai
letto Hemingway,
e non alleggerisce il carico di sconfitte
che
porti sulle spalle.

Una cattiva poesia
non aspetta che sia
tu il primo a parlare,
se ne intende di misure
e preferisce le
rime alle parole,
una cattiva poesia
da tutto per scontato.

Una
cattiva poesia
ha sempre fretta di andare,
si spegne con lo
schermo del computer,
scivola via con la merda nel cesso,
una
cattiva poesia
secca come un preservativo al sole.

Una
cattiva poesia
è sulla bocca di tutti,
è una puttana pesta
incatenata a un letto,
è un’inserzione sporca sul giornale della
domenica,
è il premio della critica
sullo scaffale delle offerte.

Una
cattiva poesia
non ti asciuga la gola,
non ti secca la lingua,
non
ti rende povero,
una cattiva poesia
non ti buca il fegato.

Una
cattiva poesia
non è un incubo,
non è una corda che trema sul
vuoto,
è una rassicurazione,
una cattiva poesia
è un conto in
banca.

Una buona poesia
è un cuscino di pietre
su un letto
di spilli,
una buona poesia
non sfiora l’anima,
colpisce a
morte e basta.

Una cattiva poesia
non è una buona poesia.

Una
cattiva poesia
è roba da poeti.

Francesco Villari – PETRI E PETRICEJI

 

 

Nc’erunu risposti mbucciati

arretu ‘o buttuni ri cazi,

e non faciti finta

l’occhi si guardunu ndall’occhi.

 

Cu rispettu parrandu

si isa i n’terra nu sciat’i ventu

e du petriceji si smovunu

senza sconzu pe nuju.

 

Risciatamu puru nui,

e non ci faci nenti se dui

tri quattru

o cincu i sti petri

ndi trasunu nde scarpi.

 

Su granelli i sabbia

chi s’mbucciunu ammenz’e jirita

o chi s’imbrazzunu ‘a cazetta.

 

Su i petri chi non t’haju a cuntari.

I petri chi l’ha sapiri.

 

A discrezioni ‘ra sensibilità ‘ri to peri.

 

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Hasael – ASSENZA

 

Devi
proprio scappare?

Non
so se il senso del dovere o la paura di sostenere il suo sguardo, fatto sta che
me ne vado.

L’idiozia
si impossessa di me ogni volta che quegli occhi si posano sui miei.

La
consapevolezza di non essere più parte integrante del suo esistere, stronca
ogni sussulto di volontà a rimanere davanti a lei, mentre fornisce mezzi veloci
per scappare a gambe levate.

Mi
ritrovo in un’aula calda, le tende oscurano tutto e il proiettore sputa fotoni
contro un telo bianco, la mia presenza è assolutamente irrilevante, io sono
assolutamente irrilevante, riesco solo a boccheggiare in questa semioscurità
scandita da melodie marca Bjork.

La
comunicazione finisce e in meno di cinque minuti mi ritrovo in mano un “TrattoMarker”
col quale schizzo su un foglio A3 per cercare di far entrare in testa ad un
paio di occhi chiari e spenti il concetto di “piano americano”, inutile far
leva su un Clint Eastwood e su un “al cuore Ramon!!! Mira al cuore!!!”.

Dovrei
documentarmi forse sull’ultimo parto purulento di quella collinetta dorata
sulla west coast marcata U.S.A. forse così il concetto potrebbe passare in
maniera più spedita, ma onestamente preferisco spedire questi occhi chiari
dritti verso un solido “18”
nella speranza che sì fatto risultato possa schiodare questo simulacro di
volontà verso la visione consapevole di “Per qualche dollaro in più”.

Speranza
ovviamente mal riposta, ma intanto il “18” resta e tanto basta.

Pensieri
in ridondanza, fasi cicliche di risonanza tentano di far crollare la mia attenzione
e riportare il pensiero verso ciò che ho lasciato andare, verso la possibilità
di un dialogo umano e consapevole.

Mi
trastullo con l’inutilità rifiutando la reale essenza dell’esserci.

La
mia idiozia non ha confini umanamente definibili, la causa di una sconfitta che
ancora brucia in maniera lancinante.

Tu
mi dici che ti tengo a distanza, perché non sai quanto mi costa tenerti vicina.

Non
conosci quanto sono vigliacco, non sai quanto quell’amplificazione di complessi
possa mancarmi o quanto ancora la piaga della colpa possa scavare nella mia
carne inondandomi di cancrena.

Non
puoi misurare il vuoto che ruba ogni mio respiro, dal momento che ormai sono il
passato.

Il
grigiore cancella ogni sussulto cromatico, annulla ogni traccia di vitalità
lasciando solo sabbia arsa dagli eventi.

Sterilità,
un immoto deserto di incandescente assenza di rigogliosità esistenziale.

 

Sergio Branca – (da) LA DERNIÈRE ÈPOQUE

 

 

 
Il mio primo esperimento

sarà d’impiccare

una rosa

e già si vedranno

meno dolci

le giornate.

 

E nessuno comprerà più niente:

viva la pubblicità

che non riesce a vendere.

 

Siediti lì,

osserva.

 

Cosa c’è di dolce

nelle nostre ombre?

 

Cosa c’è di dolce

nel tornare a casa a mangiare?

 

Cosa c’è di dolce

nell’aspettare la propria donna

senza interesse?

 

Per questo me ne fotto

della rima,

dell’armonia.

 

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Pino Amaddeo – RIVOLUZIONE

 

Ero venuto a chiedere rifugio per non
essere massacrato dalle bombe mediatiche e tu mi hai offerto un succo di
frutta alla pera, senza nemmeno avvertire la mia sete.
Adesso non
voglio dire che vorrei starmene tutta la sera con te e baciare le tue
labbra, anche perché prima gradirei un bicchiere di vino rosso e vorrei
che anche tu lo bevessi e dopo baciandoci le labbra vorrei che insieme
iniziassimo a disturbare il nostro futuro. 
Ma certo che possiamo
traslocare, anche domani se vuoi e poi sappi che adesso ho incontrato un
altro dio, molto più simpatico del tuo, intanto perché ha meno leggi,
giusto qualche comandamento per non dare troppo all’occhio nella sua
diversità.
Un dio che non ti castiga, un dio adatto ai nostri giorni e
che non crede nella puntualità, un dio molto più simile a tutte queste
teste di cazzo che ci girano intorno, un dio moderno. 
Anche nella
stagione dei silenzi siete venuti a rompermi i coglioni con i vostri
spot  ed allora ho deciso che invece di cambiare casa o macchina o di
cambiare partito in tutta
serenità ho deciso di cambiare dio e di scegliermene uno che non rompe i
coglioni.
Voglio starmene tutta la sera con te a baciare le tue labbra e
poi sarei davvero interessato a ficcare il mio bel cazzo teso dentro
quella tua dolcissima figa. Ohooo… che porco che sono!
Dobbiamo traslocare, non domani, dobbiamo
traslocare immediatamente e senza leggi. Dobbiamo andare a tartassare il
nostro futuro, non dopo ma prima di subito. ADESSO!
Voi avete il diritto di pensare che io sono
pazzo… ma anch’io ho il diritto di dire che  MI AVETE ROTTO I COGLIONI.
MI AVETE LETTERALMENTE SCASSATO LA MINCHIA!
C’è questo nuovo dio, paziente, tollerante e
anche un po’ eretico, che mi segue in questo maledetto cammino,
maledetto e coerente. 
Devi scavare, ma non così… devi scavare e cercare
il silenzio di una lacrima vera, una lacrima che sa dirti di non
aspettare più le rivoluzioni delle idee o delle pratiche e che sa dirti
di non aspettare più le rivoluzioni.
Devi scavare e cercare, cercare e
scavare, devi impazzire e poi devi essere sepolto vicino ad altre teste
di cazzo.
Ero venuto a chiedere del vino per non essere distrutto dalle
vostre maledette idee.
 

Lucio Salis – DOPO CENA

 

 

Non è vecchio, ma anziano abbastanza

è seduto in veranda a fumare
e a guardare il ruscello che schiuma
per
un po’ di corrente.

È sereno e serena è la notte.
Arrovescia
la testa e le stelle
gli vengono incontro.

 
Si sistema per bene e
sospira
scorgendo la moglie da un po’ di finestra.
 
La donna
sistema in cucina
tranquilla e precisa.
 
– Noi soli – lui pensa
e la guarda
e ricorda milioni di cose
momenti di gioia, problemi
risolti
fatiche tremende per crescere i figli
ormai sistemati.
 

Insieme…- pensa
e la guarda.

E l’adora cogli occhi
finché
piano piano si leva
e con passo leggero va dentro
la raggiunge, le
cinge le spalle
e le sfiora in silenzio la nuca
esprimendo una
vita in quel bacio.
 
Lei si schermisce ridendo e pigliandolo in giro
Lui
stringe le labbra, strizzando un po’ gli occhi
 
– Insieme… – pensa.
 
È felice.
 

Gianni Cusumano – BIRRE E UOVA A SUFFICIENZA FINO ALLE PROSSIME ELEZIONI

 

Pazienta.

Finisci prima il vino.

Possibile che tu abbia

già svuotato due bottiglie?

Sii ragionevole,

pazienta.

C’è ancora una sigaretta

che ti brucia tra le dita.

Possibile che tu abbia

già finito tutto il tabacco?

La musica sta ancora suonando

e dopo quella

ti resta ben poco.

Perché non ti decidi a
pazientare?

Hai fretta di sapere

come va a finire il film

anche se c’è ancora la
pubblicità?

Ma la pubblicità non finirà mai.

 

Quindi ti conviene pazientare

e dare sfogo al culo

più forte che puoi.

 

Pazienta.

Le motivazioni sono come le
parole,

non le trovi già scritte e pronte
all’uso.

Questo lo capisci?

Annusati ancora un po’ le dita

e fatti trovare pronto

per il prossimo notiziario.

 

Ti conviene pazientare,

perché saper grattar bene

una striscia di polvere argentata

non fa di te un vincitore.

Anche questo lo capisci,

non è vero?

 

Quindi pazienta.

Ci sono birre e uova

a sufficienza in frigo

fino alle prossime elezioni.

Non ti basta?

Non avere fretta

perché potresti finire

a scopare una donna

che sa quanto fai schifo

e non manca mai di dirtelo

e per questo ci farai un figlio

e alla fine ti sposerà.

Pazienta.

Pazienta.

Pazienta.

Sii paziente.

 

Perché un giorno

ti ritroverai a elemosinare
pompini

al tuo capo ufficio,

e quando verranno a chiedertelo

dirai che lo facevi

perché anche i figli dei
lavoratori

hanno diritto a sfamarsi.

Perciò mettiti comodo

e aspetta,

perché anche la solitudine,

come tutte le cose preziose,

ha un costo,

e potresti non permettertela più.

 

Allora, amico mio,

allenati a tracciare X sulla
sabbia,

fai la punta alle matite

e scalda il tè freddo.

Fatti regalare un appartamento,

finisci il vino,

fuma la sigaretta,

scalda la cena,

scopa tua moglie,

porta fuori il cane,

dì “Sogni d’oro” a tuo figlio,

aspetta il notiziario

dopo la pubblicità,

e masturbati di nascosto

davanti la TV alle 3 del mattino.

 

In fondo non c’è fretta,

non c’è mai stata fretta.

 

Pazienta.

Pazienta.

Pazienta.

Per la Rivoluzione

c’è sempre tempo.

 

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Francesco Villari – PAROLE ACCESE

 

 

Ho adorato i mostri marini sin da quando mi finsi Capitano Nemo. Ero piccolo. Ero sotto le coperte. Avevo trovato un mondo che era soltanto il mio ed adoravo tutto di quel mio mondo, anche i mostri marini. La superficie invece l’ho odiata sin da quando ancora nel passeggino, le strade sulle quale mi portavano a passeggio erano devastate da chissà quale elemento esterno. 

 

All’interno di un circuito le cui larghe vedute possano essere sempre rimarcate (ed all’occorrenza rivedute, corrette, smentite, millantate…) ci si sta davvero di merda. Non lo dico per intimorire gli avventori nè tantomeno per  denigrare le vittorie, le indiscutibili vittorie ottenute sul campo con quorum e percentuali incontestabili, ma si sta di merda. Ho sentito parlare dell’amore per  la propria terra, ed il concetto di proprio mi sta stretto ma non mi ci fermerò troppo. Ho sentito della mirabolante esperienza che la terra trae dalla fertilizzazione organica. Mi chiedo se l’homo erectus humus possa diventare materia di studio in uno di quei laboratori abbandonati a se stessi, ma perseguiti legalmente in caso di autogestione, e fare quindi in modo che diventi il cane che si morde la cosa. L’uomo che mangia la propria merda. Il Pinocchio che si ribella al proprio padre (creatore, scrittore, disegnatore… fate voi). Ho sempre adorato i mostri marini perché sott’acqua devi saperci stare. Superato il primo step, necessario alla comprensione del sistema di vita che ti obbliga ad adeguarti  alle leggi della respirazione, si passa ad affrontarne un altro. Il mostro marino è al terzo livello perché è diventato Mostro.  L’uomo ha imparato a respirare ma, senza offesa, il coefficiente di difficoltà è di tutt’altro livello. Posto che ci sia spazio per tutti non è corretto pensare che possa durate per sempre. L’impastatrice è stata settata male ed i parametri han reso l’impasto un impiastro con l’implicazione di dover segnare a perdita questi soldi. Non ci sono ragionieri in giro. Non ci sono ragioni da ascoltare. Adoro i mostri marini e la carta non è amica dell’acqua. L’homo sapiens ha rotto un po’ i coglioni con le storie per bambini scritte in dimenticanza di esserlo stato. Nello Stato di cose attuali mi Mostro per quel che sono.

 

(L’articolo è stato pubblicato su InScena Magazine del Novembre 2009)

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Er Bubba – CHE PERSONA STRAORDINARIA LA SIGNORA PECORA!

 

Dopo i preliminari di turno il sig. Cappella bussò prepotentemente
alla porta della vicina di casa.

«Prego, si accomodi. E attenzione che il pavimento è
bagnato», gli dice la sig.ra Pecora dopo aver aperto lentissimamente la porta.

Il sig. Cappella sorride di gusto e si accomoda
elegantemente in fondo al piccolo appartamento: accogliente e ben riscaldato.

L’odore  che arriva
dalla cucina dimostra che la signora ci sa fare coi fornelli.

«Cosa cazzo starà cucinando di così organolettico?!?»,
pensa il sig. Cappella.

E mentre pensa, lei socchiude la porta per lasciare che il
profumo delle pietanze possa attirare nuovi ospiti e nuovi personaggi.

 

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