Gianni Cusumano – LAZZARO, CONTINUA A DORMIRE

 

Lazzaro, continua a dormire.

Niente di buono oggi. Non ne vale la pena.

Il ragazzo di sopra continua a
lamentarsi, la gente urla per le strade aggrappata a bandiere color sangue, le
cassiere continuano a propormi tessere di risparmio magnetico.

Il vino fa schifo e la pasta è di
nuovo scotta.

Lazzaro, resta nella tua tomba.

Chiuditi bene dentro, sigilla la
pietra con i tuoi sogni. Falla pesante. Procurati un’arma e difenditi dai
venditori di carità porta a porta.

Non hai bisogno del passato, Lazzaro, e il
futuro è fottuto.

E poi, rispondi: cosa c’è di
buono in un popolo che preferisce un cancro allo stomaco piuttosto che lasciare
che il sugo gli si attacchi alla padella?

Lazzaro, continua a dormire.

Fuori,
sentinelle in tenuta antisommossa sorvegliano le porte della speranza. Canti e
balli tribali fuori, Lazzaro. Droga e promiscuità sessuale, fuori. Niente più
bambini. Numeri complottano contro altri numeri. È in ballo il sistema decimale
per come lo conosciamo. Siamo in balìa di porci polemici assettati di
matematica, maiali virali ovunque.

Le trombe dell’incesto suonano al
ritmo delle coltellate, melodie taglienti su figli e amanti d’una vita.

Pensaci
bene prima di dare ascolto a quella sveglia del cazzo, Lazzaro!

Prenditela comoda, nessuno che ti
ama davvero ti aspetta dietro la pietra.

Toccati un po’ il pisello pensando
alle donne che hai annusato, sporca le mutande, piangi, ridi e poi torna a
sognare.

Non farti fregare, Lazzaro.

Fossi in te, ruberei ancora altri
cinque minuti all’eternità.

 

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Gianni Cossu – L’ UNO E L’ ALTRO

   

I

Perché tutto quel fracasso, quel ciondolar d’anni e danni?

Perché tu dell’Altro cercavi la compagnia: fosse il
lutto o il passeggio, la battuta di spirito o lo spirito di corpo, il battito
lieve, di soppiatto, a piedi scalzi di neve, delle palpebre di un cieco che
s’immagina… che immagina sé, nel suo chiuso buio, faticare con la slitta dei
sandali del francescano in un cader senza posa di farfalle… in un vorticar d’ali
e polline e farinose sabbie.

 

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Edoardo Olmi – FILOSOFIA DEL CREPUSCOLO (IN FUGA)

 

 

Esco, di fretta

sospinto da cecità mi sveglio.

 

Apre e rischiara la mente laggiù

Piazza della Libertà, l’arancio,

è rossa; sembra che possa

ESPLODERE!

 

Scendendo,

penetro il sangue

con lento incedere e

si leva la cenere;

io mi lascio ubriacare…

 

ebbro, soffro e lamento

i labirinti senza fine di Ragione

sospingono seduto a capo chino

sotto l’arco di Firenze dei Lorena.

 

Troppi gli dèi che si rincorrono

fuori

          e dentro

icone di Italietta Sempreprete

scaduta sottomarca del Potere.

 

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Giancarlo Galante – APPESO

Appeso… appeso al bordo di un
foglio di finta carta, al bordo superiore, prima di cadere e scivolare alla
fine della pagina troppo presto per poter dire tutto quello che vorrei. Appeso
come quando tieni  una cassa di buon Barbour
del Kentucky tra le mani, in mezzo alla strada, e non sai che fare perché
vorresti tornare a casa ma quella cassa pesa troppo e non sai se bere il
contenuto col rischio di non arrivarci più a casa o abbandonarla, o regalarla…
sarebbe veramente un peccato se capitasse nelle mani sbagliate.  Apro la porta della stanza, faccio 3 metri e
arrivo dritto in cucina.

C’è il frigorifero e il televisore, sempre acceso su
canale 5. Mentre cerco un po’ di succo di ananas, uno di quelli che non potrei
toccare visto che di norma si dovrebbe utilizzare solo per mischiarlo con il
Notropil di mio padre, Totti parla impropriamente del  10, del rapporto misterioso con questo numero
iniziato da tempi immemori. Penso che non sia sufficiente parlare del numero 10
per potermi affibbiare una Cristo di scheda Wind in promozione. Esco da questo
buco, un po’ d’aria mi servirà.

L’ascensore sa dell’alito alcolico del mio
vicino del terzo piano, Pietro. Pietro non è propriamente un ragazzino, direi
più che altro un quarantenne che non accetta di essere diventato adulto. Spesso
lo vedo appostato davanti al negozio della fioraia sotto casa mia. Penso che
non la conquisterà mai se continua ad aspettarla leggendo Tex seduto sul
gradino di fianco con una bottiglia di vino da 4 soldi appena aperta e già a
metà al primo sorso. Mi guardo allo specchio, prima o poi dovrò curarmi questa
dermatite. Odio perdere parti di me. Apro il portone con non poca difficoltà.
La giornata promette bene. Esco dall’ombra in cerca di qualche buona notizia,
al sole si sta decisamente meglio. Un immagine di te che sei in un buco di
negozio a vendere coperte a persone indecise per via  della scarsa attitudine all’abbinamento.
Prendo la macchina. La Punto ha un problema al finestrino destro, per cui se
voglio fumare devo spalancare quello sul lato guida.

Guardo alla mia destra
nella speranza che sia rimasto uno spiraglio dal finestrino posteriore, quello
che di solito lasci tu per risolvere il problema. Fa niente, sono abituato al
fumo passivo, e sono ancora giovane dopotutto. Guardo fuori, vorrei che ci
fosse New York o Detroit di fronte, invece sono a Reggio Calabria. Avendo
un’attitudine all’orientamento pari ad una medusa, non so se girare a sinistra
o a destra. Delle volte non ricordo neanche dove sto andando. In linea di
massima devo solo cercare un buon motivo per poter tornare a casa sereno,
perché la sera sarà veramente lunga se non avrò combinato un cazzo. Come in una
bolla di sapone, mi lascio trasportare dalle onde emesse dalla musica che ho di
sottofondo. Mi hanno passato un cd ultimamente, Majakovskij  è stato spulciato ben “Bene”. Non è adatto al
momento, serve qualcosa per caricarmi.

Penso a quel frigo pieno di bibite e
alcolici che ho sognato stanotte, a quella freschezza che mi ha fatto prendere
il raffreddore al risveglio. Penso che dovrei andarmene al più presto, penso
che dovrei portarmi solo te, la chitarra un sacco a pelo e qualche ricordo. ho
poca benzina. Prendo le 89 miglia orarie sulla superstrada . Ecco sono
scomparso magicamente. Gli anni ’70, quelli d’oro, non erano poi così lontani.
La prima cosa che vedo è un cazzo di cane con il maglioncino tenuto al
guinzaglio da una donna a zampa di elefante, tutta, interamente.

C’è troppa
polvere.

Accosto e le chiedo dove fossimo. Mi guarda stranita a causa del mio
aspetto bizzarro, si toglie gli occhialoni dal viso e mi dice

«Hey amico ti sei
impasticcato? Dove vuoi che siamo? E dove credi di andare adesso se non sai
dove sei? Ci giri intorno al problema chiedendomi dove sei? Hey amico cazzo,
cioè dovresti proprio saperlo dove sei altrimenti sei rovinato,dico io!».

Eh beh, c’aveva ragione la
tipa. In effetti bastava solo guardarsi un po’ attorno per capirlo. Avrei
voluto dirle qualcosa, ma non mi è venuto niente di meglio che un “grazie”. Ti
penso in versione anni ’70 e mi spunta un sorriso.

Accendo una sigaretta, chiudo
la macchina con l’allarme e la copro con uno dei miei 3 teli che porto nel
bagagliaio da tempi immemori. Fa caldo, non avevo preventivato la stagione. Ho
un maglione e qui è estate. Mi metto in maglietta, anche Iggy è accaldato oggi…
ha una faccia!

Dopo anni di attesa… capisci che stavi guardando, stavi
guardando nel posto sbagliato.

Allora mi chiedo: “Cosa faresti tu se tornassi
indietro?”.

Mi diresti di non guardare mai indietro.

E continuiamo ad andare
avanti allora, appesi al bordo della pagina a detestare chi continua a
combattere contro i mulini a vento perché ci somiglia troppo, in attesa di quel
fatidico giorno in cui saremo seduti su quel bordo e col culo ben al caldo
diremo: “Da qui vedo tutto”.

 

Gianni Cusumano – COME SI CHIAMAVANO QUEI DUE DELLA PENICILLINA?

 

 

Si diceva “Penicillina”, con due enne??
Oppure si diceva “Pennicellina” con due di tutte??
Poi la mia ragazza dice, e sentite perché il concetto sarà molto, molto semplice:
«Immagina di essere ridotto a un mucchio di lettere stampate sulla pagina ingiallita di un libro di romanzi rosa cecoslovacchi sfiorati dallo sguardo di un distratto lettore occasionale di una sconosciuta biblioteca rionale. Immagina!»
Allora io dissi:
«Siamo solo un ammasso di atomi, e basta.»
E lei:
«Perché cazzo scrivi di me? Non voglio essere ridotta a un mucchio di lettere.»
«Il tuo nome è un mucchio di lettere», dissi passandole la pistola.
«Cazzate… facciamo un romanzo nel romanzo. Sennò che cazzo ci stiamo a fare? Sennò che cazzo ci stiamo a fare?»
«Si, ma non ripetere tutto quello che dicono.»
«Che dicono chi?»
«Quei due devastati che mi stanno scrivendo la parte proprio ora.»
«Cazzo, l’hai ribaltata. Sei magnifico.»
E io:
«Scusa, ma ho come la sensazione di non essere me stesso, stasera. Mi sembra di essere il personaggio del delirio cannabinoalcolico di due forti bevitori.»
«Cazzo…»
«Sempre molto delicata comunque…»
«Questa la dovevi proprio mettere, vero??»
«A questo punto dovrei rispondere di si. A proposito, te l’ho detto già che devo andare a pisciare?»
«Minchia della profondità.»
«Di che?»
«Del tutto.»
«Va bè’, io allora andrei a pisciare…»
«E vai, và.»

Poi tornai dal cesso.

Disse:
«Ecco, adesso prova a ribaltare il concetto di prima. Capito perché un medico non sopporta gli ospedali?? »
Poi non parlammo più per mezz’ora.
Poi dissi:
«Senti, ma come si chiamavano quei due della penicillina?»
Mi rispose semplicemente:
«Non erano due. Era uno.»

 

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Vittoria!

 

 

 

Ho vinto un punto ed una figura

non mi manca nulla.

 

Ho vinto un manico di scopa

sono completo.

 

Ho vinto una boccia ed un pesce

mi manca l’acqua.

 

Ho vinto dell’acqua e del petrolio

tutto insieme.

Ho usato una figura fino ad un certo punto

comincia a piaceremi.

 

Ho perso un pesce.

Ho imbracciato il manico di scopa

ho sparato simbolicamente per aria

e la certezza che mi abbia ascoltato

resta una valida motivazione

per averlo voluto fare.

 

 

Er Bubba – SENZA TITOLO

 

 

 

Rigenerazione
del vocabolario

significa
che hai detto tutto quello che potevi

significa
assenza necessaria

per
un nuovo uso del vocabolario

le
parole invecchiano con le idee

ma
questo corpo

quando
sacrifica qualcosa (presenza)

prende
vita nuovamente

t’assale
la curiosità

dell’infinitesimale
se non fa male

vittima
e carnefice della circostanza

sorriso
commosso di chi ha perso tutto

in
un disastro aereo

e
s’attacca al primo scoglio

utile
alla sopravvivenza del pacco.

 

Esperienza,
causa pupille sguainate

e feroce
terremoto spinale.

 

Pino Amaddeo – VERSACCI

 
Prima di tutto ci fu il silenzio,
nulla di trascendentale
niente a che vedere con le frottole.
 
Regnava il silenzio
e dopo venne la pioggia
sbocciarono i gelsomini
i primi petali nello stagno,
lì si posò un cigno reale
evaso dal paradiso,
dormì qualche ora tra i petali.
 
L’ alba portò un cigno selvatico
evaso dall’ inferno.
 
Prima di tutto ci fu il silenzio
poi il nido, le uova, la vita,
l’ uomo, la guerra, l’ invidia,
l’ odio, dio, santi, peccatori,
trafficanti, predicatori, sindaci,
senatori, musicisti, mercenari,
poeti e indignazione adempiente.
 

Francesco Villari – PAURA DELLA RUGGINE

 

 

 

Non avrei dovuto parlartene. Mi sarebbe bastato
alzare le mani e far finta che le dinoccolate intenzioni marcissero stupide
nella convinzione del mio interlocutore. Invece no: ho attaccato alle pareti
della stanza un discorso concorrenziale, di quelli che figo con figa non è solo
una questione di maschile con femminile ma a tal proposito imbastire un
discorso sarebbe voluto essere un’intenzione scaccia crisi.

Crisi?

Di che?

Quando?

Prendo lo Svitol e mi guardo negli occhi del
post serata. Io timorato da un Dio oscuro.

Quattro passi nel frasario dall’italiano
all’italiano che non mi permette di divagare sull’argomento. La questione delle
parole ottiene i risultati promessi ma ero affascinato dalla discussione ed
avrei voluto… avrei parlato… avrei pensato… nooooo? Pensare: ecco il dilemma.

Mi abbraccio fatiscente e mi rincuoro. Rincorro
le promesse e me ne vanto. Mi cambio e mi rivesto in una prigionia costrittiva
senza passare dal via. Banditi maledetti dalla questua.

Sotto sotto ci sono due coccodrilli ed un orango
ballerino. Il sentore. Il timpano in disaccordo. Perche? Sette le vite di un
gatto che invidio perché in qualità di uomo riconosco i limiti dell’umanità.

Mai perdere di vista il liquido per le lentine.
Torno allo Svitol. Monte dei pegni per gli impegni presi con me stesso. Con la
mia razza.

Ma che razza di posto è questo che trancia le
mie braccia a favore del padrone che ha voglia di me?

Ti va un giro di pista?

Vuoi ballare o mi temi?

 

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Emilio Strati – SE FOSSI SEPOLTO A SPOON RIVER (III)

Alla fine ho capito

che quel che importa

è vivere senza peso,

perchè siamo davvero

come le foglie sugli alberi.

E così invidio il vecchio Jones,

che non si curava d’altro

che di suonare il suo violino,

mentre tutti quanti noi

buttavamo al vento la vita,

cercando di dare un senso

ai nostri affanni.

 

I precedenti scritti di Emilio Strati SE FOSSI SEPOLTO A SPOON RIVER li trovi qui:

http://autoprodappese.noblogs.org/post/2009/10/23/emilio-strati-se-fossi-sepolto-a-spoon-river-i

…e qui:

http://autoprodappese.noblogs.org/post/2009/11/14/emilio-strati-se-fossi-sepolto-a-spoon-river-ii

 

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