Ci sono libri… (dicono di noi)

 

 

I tipi di Autoproduzioni Appese hanno pubblicato un po’ di tempo fa questo fumetto sceneggiato e disegnato dai ragazzi dell’Accademia del fumetto “RaggioComix” e tratto dal soggetto del c.s.o.a. Angelina Cartella di Gallico (RC).

Un mezzo di comunicazione, quello del fumetto, solitamente indirizzato ad un pubblico giovane e molto giovane basato su una questione di primo piano a livello sociale, economico e territoriale può diventare una buona lettura non solo ludica ma anche di insolita, ma buona, informazione. Questo è il risultato a cui si è arrivati con la realizzazione di questo fumetto pubblicato sotto licenza Creative Commons.

I servizi di gestione dell’erogazione dell’acqua si stanno spostando sempre più nelle mani di grandi aziende private, la Calabria e Reggio non fanno eccezione. A parte i disservizi legati alla mancanza cronica di acqua e all’erogazione della tipicissima acqua salata la privatizzazione delle acque pubbliche, il bene primario più necessario per l’uomo, porta e porterà ad una serie maggiore di disservizi. Le zone dove le utenze non dovessero portare vantaggi economiche potrebbero essere abbandonate sempre di più a loro stesse dato che non converrebbe, per l’azienda, portare un servizio laddove non ci può ricavare niente. La necessità che l’acqua rimanga un bene totalmente pubblico, compresa la sua erogazione, è un tema centrale nella vita di una città.

I Bronzi di Riace se sono accorti. L’acqua, ormai, costa più del vino a Reggio e, a loro, il fatto che l’elemento naturale che li ha custoditi per migliaia di anni sia diventato un bene di consumo non va proprio giù. La storia si svolge in un contesto surreale in cui le statue sono considerate solo un bene da vetrina da esibire a qualche turista inconsapevole, la gelosia di una “ex prima statua” del museo rende la realtà ancora più assurda, un amministratore delegato senza scrupoli ha reso a pagamento l’acqua ovunque essa si trovi, dal mare alle fontane e con un commissario della polizia ligio al dovere che tenta di ristabilire l’ordine costituito.

Le statue scappano dal museo perchè non ce la fanno più ma si dividono per due strade completamente diverse. Una di loro si dà al vino che costa ormai meno dell’acqua. Braccato dal commissario lo “sbronzo” incrocerà nella sua fuga 2 ragazzini che risulteranno essere i suoi coadiuvanti lungo il corso burrascoso degli eventi, tipico delle fughe un po’ rocambolesche. Nel tempo che staranno insieme i due giovani reggini scopriranno che il mondo non è proprio come pensavano che fosse e imparano come l’acqua sia un elemento così fondamentale per la vita naturale e sociale che non può essere imbrigliato in logiche commerciali. La città ama i suoi bronzi, anche se lo dimostra troppo poco ma loro ricambiano lo stesso questo amore! E’ per questo che una delle due statue decide di non tornare “a casa” come l’altra e si catapulta in questa storia di coscienza sociale.

Un altro protagonista è Pierpesce, un pesce fuor d’acqua, in missione per conto di Lio un lago interno aspromontano in cui l’inquinamento umano delle acque (scarico illegale di rifiuti) ha fatto ammalare tutti i pesci che lo abitano. La sua missione è quella di riportare i suoi compagni in un’acqua che si possa nuovamente definire tale.

La storia, dunque, abbraccia tanti aspetti della tematica legata al bene primario per eccellenza e lo fa remixando in maniera semplice, ma efficace, elementi di cultura cittadina, di attualità e storia locale che rendono gli eventi della storia, per quanto assurdi e surreali, fortemente radicati nel territorio in cui la essa è ambientata.

Consiglio a tutti la lettura di questo fumetto, 34 pagine interamente realizzate da intelligenze e creatività reggine che denunciano in modo simpatico, creativo e costruttivo come alcune realtà rischino di rovinare indelebilmente quanto di bello e buono abbiamo e dobbiamo tenerci stretto!

Cliccando sul link potrete sfogliare e leggere online l’intero fumetto!
LO SBRONZO DI RIACE

Questo articolo di Alessio Neri è qui:

http://www.reggiocalabrianotizie.it/ci-sono-libri-lo-sbronzo-di-riace.html

OPINIOCRACY – di Mariagrazia Costantino

 

Videocracy, il documentario di Erik Gandini che a Venezia – dove è
stato presentato – è stato ribattezzato “Videocrazy”, è solo l’ultimo dei tanti
documentari usciti di recente sul “nostro” ipernominato Primo Ministro e il suo
regno “videocratico” o “mediocratico”.

Più che il contenuto del documentario,
le polemiche che lo hanno anticipato, o meglio avvolto, e la ricezione del
pubblico (almeno di quello che mi circondava) rivelano a mio avviso alcuni
meccanismi interessanti che hanno a che fare con una presunta libertà, un
presunto distacco dalle cose, una presunta obiettività.

Prima nota stonata: aspettando di
entrare alla prima proiezione – tentativo miseramente fallito – vengo
avvicinata da un sedicente giornalista che mi chiede di guardare in camera e
dire cosa penso del film. A parte il fatto che ancora adesso non ho idea di
dove sia finita la mia intervista, mi chiedo come si possa pretendere di far
parlare qualcuno di un film che non ha ancora visto. Comunque dico che sono
curiosa di vedere se il documentario sia all’altezza delle aspettative create
dalla censura, con tutto il clamore e la pubblicità che ne sono seguite. Dubbio
sacrosanto, come ogni dubbio. Capisco subito che la mia risposta non è proprio
quella che lui si aspetta, anzi sembra restarci male, forse sperava che
partissi con il solito comizio arbitrario, e a microfoni spenti mi dice “no,
no…io lo conosco lui, guarda che è sincero, lui ci crede in quello che fa…”,
sarà pure così ma questo che c’entra? Non è ironico che chiedendo la mia
opinione sulla censura abbiano poi finito per censurare in qualche modo la mia
risposta?

Alla seconda proiezione riesco
finalmente a conquistare un posto in sala e “video” Videocracy, che di sicuro non minerà l’autorità del ipernominato –
lo sta facendo qualcuno o qualcosa? – ma svolge il suo compitino
diligentemente: è uno sguardo abbastanza lucido e forse anche dolente di un
italiano trapiantato all’estero (Svezia) sull’Italia feticista di immagini,
dove il gran cerimoniere di questo culto ha finito per diventare timoniere.
Scene abbastanza scabrose da rimanere impresse per un po’ nella mia memoria e
nei miei incubi: Lele Mora che si dichiara convinto ammiratore di Mussolini e
mostra con viscida tenerezza un montaggio di inni fascisti, mentre i tronisti
fanno il bagno nella sua piscina e si fanno di spritz; Fabrizio Corona che in
un delirio narcisistico si specchia e si unge a dovere le parti basse.
Interessanti e apocalittiche, anche per il commento musicale che le accompagna,
scene dei provini di gruppo (orde danzanti di aspiranti veline) all’interno di
centri commerciali. Istruttivo come una puntata di “Correva l’anno” l’incipit
in cui ci vengono mostrati i primordi della televisione commerciale (anno
domini 1978): in una specie di salotto con tavolini da bar un gruppo di
bontemponi se la canta e se la suona, solo occasionalmente interrotto da
qualche timida telefonata di un pubblico che ancora non è pubblico. L’intimità
domestica culmina nel balletto di una donna mascherata e in guepiere, molto
rudimentale ma sofisticato in confronto agli odierni culi+dettagli
ginecologici, che non riescono più neanche a mantenere l’elemento plasticoso e
pop delle ragazze fast-food di Drive In. L’immagine della donna in maschera è
tetra come le foto dei morti vestiti a festa di fine Ottocento, perché
appartiene a un passato che minaccia la futura (in)civiltà. Quello che resta
sottointeso qui non è che tette e culi non vadano bene in TV a priori, ma che
dal 1978 questi sono stati sistematicamente usati come arma di ricatto e
riscatto, grimaldello dei cervelli, simbolo di un potere ipertrofico.

Potrei adesso tirare in ballo Guy
Debord, che diceva che “l’immagine è diventata la forma finale della
reificazione”, e dunque del potere, ma vorrei tornare al punto di partenza.

Si diceva dunque che Videocracy ha
goduto di una notevole fama prima ancora di uscire, per il divieto imposto
dalle reti Rai e Mediaset di mandare in onda il trailer. Questo, oltre a
confermare la tesi iniziale proposta da Gandini, che si è dichiarato stupito
dell’impeccabile e immediata applicazione del teorema da lui raccontato sul suo
stesso film, ha autorizzato un nutrito gruppo di scettici – me compresa – ad
avanzare dubbi e riserve sull’effettiva efficacia del prodotto, come se si
trattasse di una medicina.

E allora la seconda nota stonata è
vedere come tutti si aspettino da un momento all’altro la salvezza, che di
sicuro non potrà arrivare da un documentario. È l’eterno dibattito sulla
necessità o meno per la cultura di essere militante: io penso che lo sia per
vocazione, ma questo non vuol dire che debba necessariamente essere politica o
politicizzata, a meno che il partito non sia quello dei cervelli funzionanti.

Gandini espone in modo volutamente
cinico e aggressivo le connessioni esistenti in Italia tra “cultura” e
fenomenologia dei media e politica; analizza un fenomeno che almeno nell’Europa
“civile” è tutto italiano, e da italiano che vive all’estero lo coglie con
maggiore acutezza (insomma da lontano avverte la puzza che noi non possiamo più
sentire), con un senso di urgenza che bene o male traspare nel documentario. A
Gandini viene rimproverato di non essersi schierato (troppo) apertamente. Ma
Gandini – come tutti noi – potrebbe eventualmente permettersi il lusso di non
riconoscersi in nessuno degli schieramenti politici presenti in Italia. E
perché poi dovrebbe schierarsi?

Il dato di fondo è che intorno a noi
non vige solo una censura istituzionale, ma una ben più radicata e insidiosa
autocensura che induce – mai verbo fu più calzante – ad avere un’opinione a
tutti i costi e di solito in linea con i dettami di qualcuno, ad appartenere a
una fazione anche quando non ce n’è bisogno, anche quando non ci sono fazioni o
schieramenti in campo. È come quando a fine film (o inizio, come sopra) ti
chiedono se il film ti è piaciuto… una violenza e una grossolaneria alla quale
il più delle volte non puoi rispondere, semplicemente perché non lo sai.

 

 

 

GRANDE MADRE ROSSA di GIUSEPPE GENNA

 

/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-priority:99;
mso-style-qformat:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:11.0pt;
font-family:”Calibri”,”sans-serif”;
mso-ascii-font-family:Calibri;
mso-ascii-theme-font:minor-latin;
mso-fareast-font-family:”Times New Roman”;
mso-fareast-theme-font:minor-fareast;
mso-hansi-font-family:Calibri;
mso-hansi-theme-font:minor-latin;
mso-bidi-font-family:”Times New Roman”;
mso-bidi-theme-font:minor-bidi;}

 “Tattica Strategia Abnegazione Forza” cantavano
i CCCP in Militanz. Il libro di
Giuseppe Genna, ripubblicato in edizioni Segretissimo Mondadori dell’aprile
2009, mira alla ricostruzione ed alla narrazione di quanto potrebbe essere
realizzabile puntando con decisione alle fondamenta da destrutturare.

Lucido ed implacabile Genna ci
accompagna attraverso i giorni dello sgomento. Le Torri Gemelle a New York. La
stazione di Atocha a Madrid. Polizia. Carabinieri. Servizi segreti. Italiani.
Stranieri. Esercito. Italiano. Straniero. Squadra Investigativa
Fatebenefratelli. L’esplosione del Palazzo di Giustizia a Milano. Bruciate le
certezze del Sistema che dovrebbe garantire la Sicurezza in Italia.
Milleottantasette bare acquistate e donate dalla città alle sue vittime.
Palinsesti televisivi completamente dedicati. Collegamenti in diretta. Il mondo
a guardare impietrito cosa stia accadendo, intento ed attonito in attesa di
qualche elemento che possa spiegare per quale motivo sia successo. Guido Lopez
incaricato alla gestione di quello che risulta essere il più delicato dei
compiti: la ricerca dello Schedario del Palazzo di Giustizia. Per ovvie ragioni
i motivi di interesse scatenano le
intelligence
internazionali di
supporto alle operazioni. Cosa succede? Il declino dello stato delle cose ha
fatto dell’Italia il mirino di un gruppo sovversivo organizzatosi nel tempo:
Grande Madre Rossa. Il futurismo di Marinetti nella sua estrema
rappresentazione pratica? Politici che fondano l’inconsistente reazione
riducendo all’osso il concetto: Calma. L’improbabilità di una pista da seguire
è la conseguenza naturale di una gestione ragliante. Islamici? Asini scambiati
per punte di diamante di un operativo sotto shock. Dischi stonati. Blocchi di marmo
polverizzati. Eccezioni che smentiscono le regole. Le verità nelle parole di
uno sconosciuto. Inutili controlli ad personam per duecentomila presenti che
sono già il passato piangente per un futuro indecifrabile. Codici comunicativi
satellitari. Il panico e la fuga dalle città come unica iniziativa personale,
prima dei funerali di Stato. Ceneri che fanno di Milano un paesaggio lunare. Ad
ogni passo una traccia lasciata. Una personale impronta. Le piste da seguire
stanno alle indagini come la pettinatura del papa sta al dolore di un
continente tutto. Il vento se le porterà via.

Era tutto sotto gli occhi di tutti.
Era tutto lento e preciso. Implacabile nella sua organizzazione. Pulsante di
passioni che andavano oltre una mera questioni di soldi. Sovvertire l’ordine
delle cose. Rigirate il candelotto nella piaga affinché la piaga diventi una
falla. Poi l’inabissarsi seguente. Stava (sta???) accadendo davvero ma le
distrazioni erano (sono???) troppe. Essere pronti è dimostrabile soltanto nel
momento stesso in cui è richiesto di essere pronti. Il resto non conta. Per
questo motivo è fondamentale porsi delle domande. Per questo motivo l’invito: “Chiediti
chi sia io”.

 

/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-tstyle-rowband-size:0;
mso-tstyle-colband-size:0;
mso-style-noshow:yes;
mso-style-priority:99;
mso-style-qformat:yes;
mso-style-parent:””;
mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt;
mso-para-margin:0cm;
mso-para-margin-bottom:.0001pt;
mso-pagination:widow-orphan;
font-size:11.0pt;
font-family:”Calibri”,”sans-serif”;
mso-ascii-font-family:Calibri;
mso-ascii-theme-font:minor-latin;
mso-fareast-font-family:”Times New Roman”;
mso-fareast-theme-font:minor-fareast;
mso-hansi-font-family:Calibri;
mso-hansi-theme-font:minor-latin;
mso-bidi-font-family:”Times New Roman”;
mso-bidi-theme-font:minor-bidi;}

FV