L’ORAGE – Gli Autori Appesi alla Loggia del Vino di Reggio Calabria

Il Reading Poeticamente Scorretto si terrà presso la Loggia del Vino, in via del Torriona reggio Calabria.

Dalle ore 18.30 gli Autori Appesi continueranno a raccontare delle loro avventure, delle disavventure, degli affari mediatici e delle poetiche di scambio che prevedono le mascherate quotidiane.

Come sempre i microfoni saranno aperti alle estemporanee e come sempre l’accompagnamento musicale sarà curato dal maestro Giancarlo Galante (www.myspace.com/giancarlogalante)

Allenate le menti ed il fegato!

 

 

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Giuseppe Porcino – LA TECNICA DEL RACCOGLITORE

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho passato gli ultimi tempi a raccogliere
oggetti

Tutto un magazzino di ricordi rubati per
niente.

I colonnelli formica ordinanti schiere
ordinate in colonne

L’equilibrio delle candele non più lo stesso.

Non guardare in bocca al dono del tempo

La crudeltà del tempo

Sentimenti trasposti, mutati

Sedimenti

Detriti

Fecce

Scorie

Depositi

Avanzi.

Il gioco al contrario si gioca eliminando il
surplus

Collezionisti abbuffati di noia

Scontrini

Carte

Spiccioli

Francobolli

Capelli

Peli

Biglietti

Farfalle.

Un errore è un errore qualunque sia la sua
combinazione.

Questo è quello che rimane, del resto si
saziano le formiche.

 

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Luca “Zio Skanf” Scanferlato – GHIGLIOTTINA

 

 

C’è stato un tempo in cui la mia mente non era separata dal
corpo.

Il sangue mi scorre sul collo

solleticandomi e facendomi ridere

non so come ci riesca

Senza i miei polmoni, ma sto ridendo.

 

                E’
questo il senso della vita?

                Tenere
un sorriso fino alla morte?

 

Poggiato in questa cesta

guardo indietro alla mia vita

e non mi importa.

Guardo indietro e non mi importa!

 

Un filo d’erba.

Un filo d’erba rompe

il cemento.

 

Quando non si vuol rimanere nelle tenebre

non c’è nulla che possa impedire

di tornare alla luce.

 

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Hasael: KRAFTSTOFF!!!

 

Muovere
qualcosa… qualcuno
smuovere una mente… un’essere
scrollare
risvegliare…
Cambiare qualcosa…
manca l’organo…
manca la forza.
La menzogna della rinascita
l’insensato tendere alla rivalsa a posteriori
i giudizi sul giudicato ormai compiuto.
Muovere qualcuno verso qualcosa
smuovere un interesse, verso una mente
escogitare
meditare.
Cambiare la cosa
serve la fiamma
serve la miccia
a necessità di movimento
la volontà dell’agire
la voluttà nell’agire.
Muovere qualcosa verso qualcuno
smuovere… l’essere
serve la scintilla
serve benzina.

Antonio Cardia: IL DECIMO GIORNO

 

Combatto da 10 giorni.

Ogni mattina mi risveglio con la sensazione di
aver percorso chilometri durante la notte. Ho mal di piedi, i muscoli delle
gambe indolenziti e rigidi come all’80° di una partita di calcio e segni di graffi
sui polpacci. Ho le mani segnate dalle escoriazioni delle cadute e sotto le
unghie ho terra e sporcizia.

 

Combatto da 10 giorni, a quanto pare.

Mi alzò a stento dal letto che porta ancora i
segni verdi dell’erba del campo da battaglia, gli stessi segni verdi che trovo
sul retro e sulle ginocchia dei miei pantaloni del pigiama quando li tolgo per
medicarmi le ferite che ho sulle gambe. Ferite di cadute, non gravi, lividi e
escoriazioni. Lungo entrambi i fianchi mi scorrono dei segni, lunghi e tortuosi
come una strada di campagna. Segni che non riesco a spiegare. Ferite da arma da
tagli? Lacerazioni provocate dalle canne rotte che crescono negli acquitrini
che sono costretto a guadare ogni notte? Artigliate di qualche felino
acquattato tra le erbacce dietro le quali mi nascondo, pavido, prima di trovare
il momento giusto per scappare o per sferrare l’attacco?

 

Pare che il mio combattimento stia durando da 10
giorni.

Lo cancello ogni volta che mi alzò dal letto.
Resetto quella parte di memoria che mi potrebbe aiutare nella prossima
battaglia. Tutti i trucchi dei nemici che sono riuscito a carpire, la
formazione geologica del territorio nel quale si svolge la mia battaglia,il
nome dei miei commilitoni, tutto questo devo impararlo ogni volta da capo. E’
così ovvio che di questo passo non potremmo mai vincere! Chissà se i miei
compagni d’armi se ne rendono conto o se loro, al contrario di me, riescono a
mantenere una consapevolezza delle azioni che intraprendiamo. Io non cresco.
Ogni giorno è come se fossi una matricola, una spina buttata al macello in
prima linea, senza neanche aver avuto l’addestramento minimo per poter essere
lì.

 

10 giorni di combattimento, con l’ultima battaglia
fatta.

Dolorante mi trascino verso la cucina e riempio la
caffettiera con il caffè da fare. Dolorante apro la dispensa a cercare qualcosa
che mi possa rimettere in sesto: zuccheri che mi diano un minimo di energia. E
proprio lì, nella dispensa, accanto a nutella e fette biscottate, che trovo la
granata, sporca di fango e odorante di ruggine, la spoletta tolta ed un aspetto
nocivo. Evidentemente alcuni equilibri nella battaglia devono essere cambiati
senza che io me ne accorgessi (e come avrei potuto, dopotutto?).

 

Ho combattuto per 10 giorni.

 

Giancarlo Galante: TELESELEZIONE

 

Ora, partendo dal presupposto che i presupposti non esistono,
tu vieni a dire a me che ho bisogno di una donna? Che ho bisogno di una figa?
Che ho bisogno di fottermi la figa? Allora mi sa che non hai capito… io non
devo fottere, devo fare selezione. Teleselezione!

Mi sforzo di conoscerla e annuisco ad ogni frase: bla bla bla
bla bla, sono qui sono lì bla bla bla bla, mi piace l’arte, bla bla bla bla, la
pace nel mondo, bla bla bla bla bla, faccio cose bla bla bla bla, e il
volontariato bla bla bla bla, hai sentito che ha fatto Berlusconi? BLA! BLA!
BLA! BLA! Ma tu che ne pensi, no cioè perché secondo me bla bla bla bla bla,
serve una reazione bla bla bla bla, io di politica non ne capisco ma bla bla
bla bla bla, sai che ti dico? Bla bla bla bla! Giusto ieri sai cosa mi è
successo? Bla bla bla bla e poi bla bla bla bla! Ma ti rendi conto? Se sapessi,
il mio ex ha fatto schifo, è un lurido bla bla bla figlio di bla bla bla mi ha
lasciata per quella bla bla bla di Samantha la conosci? No perchè se sei suo
amico bla bla bla bla guarda me ne ha combinate di tutti i colori però ora sono
cambiata, no perché io cioè veramente bla bla bla bla bla prima ero molesta mi
sballavo ma ora bla bla bla bla capisci? Ma a te piacciono i Doors? Dio li adoro
! figurati che bla bla bla bla e poi quel poster bla bla bla bla. Una volta
all’università do l’esame di scienze del bla bla bla contemporaneo, e il
professore sai cosa mi ha detto? BLA BLA BLA BLA mi voleva bocciare ma io bla
bla bla bla. Si ma domani ci rivediamo, no perché mi piace parlare con te.

         
Si
ma me la dai?

         
NO!

         
E
ALLORA VAFFANCULO, TE NE DEVI ANDARE AFFANCULO TU E IL BLA BLA BLA!

Me ne torno a casa. Parto di teleselezione e  mi tiro una bella grossa e grassa sega
davanti a questo meraviglioso strumento a cristalli liquidi. Ho il digitale
terrestre. La Parietti si vede bene stasera. Si, dice puttanate, ma io metto in
modalità mute e faccio selezione, TELESELEZIONE e una bella sega! E più tardi
se voglio me ne tiro un’altra, perché a me piace tirarmi le pugnette va bene!?!

Teleselezione e una bella sega e me ne scopo 300 quando e come voglio io. TU
VAFFANCULO.

 

Gianni Cossu: SCRIVO PER CORRISPONDENZA

 

 

 

Scrivo per corrispondenza, ti
scrivo da anni, prima o poi aprirai le mie lettere sgualcite cotte e soffocate
dal sole e dal Drin Drin delle bici dei bambini, freddolose nella cassetta a
cucù dove il postino le accarezza di tepore d’inverno infilando con la mano
l’ultima arrivata, innamorate di primavera, nel pulviscolo di pollini che
rutila dalle fessura tra lo schiudersi dei piccoli ospiti della tua cassetta di
latta con il nome inciso che si vede al rovescio dall’Interno. Ogni sei mesi la
mano paffuta del giardiniere le brucia, succede alla fine dell’estate o all’inizio
dell’autunno. Finiscono nel fuoco tra le foglie che intasano i viali e le
piscine vuote o piene dopo le tempeste di vento, tra le reclame che tuffano
senza paracadute dagli aerei, lanciano a mazzi dai furgoni in corsa di
improbabili Circhi. Le brucia in cataste di erba svenata dal sole o arrampicatasi
troppo oltre in  un perfetto prato
all’inglese, tra il pitosforo che pretende di allungare rami oltre le leggi
della geometria rettangolare dei viali e altre amenità. Lui le spinge tutte, con
tutti questi amici, in piccoli roghi al centro di spazi rimessi a nuovo, poi, con
la pala, prende la cenere e la sparge sul disordinato orto di fiori andati a
male, di fronte alla casa. Ma c’è sempre un altro postino pronto a passare con
la borsa a tracolla e io continuo a scriverti per corrisponderti, per
corrispondermi. Sì perché sebbene tu lo ignori e sia sparito (nonostante paghi
ogni cosa perché la casa sia tenuta in perfette condizioni, perfino una donna a
lavarti i vetri ogni settimana, persino il ragazzo a lavarti la macchina in
garage, persino il giornale che cade nel corto prato ogni giorno e ormai lo ritira,
come abbonato, un vecchio barbone mattiniero, idem il latte di giornata sotto
il portico) e sebbene tu ignori tutto ciò, cioè ciò che ti scrivo, io ti scrivo
per corrispondermi. Scrivo a me stesso insomma lettere che bruciano nelle
pulizie stagionali da anni. Lettere che sono come il mio esserci ancora, in
pantofole al mattino, spalancando la bocca in pigiama nel cielo grigliato di
scie chimiche e non in questa cella imbottita, in questa nave in bottiglia,
dove mi invento anche la Biro, la carta, la busta, il francobollo, le parole,
gli a capo, le righe e le cancellature nelle risacche della terapia intensiva,
per scriverti, per scrivermi che va tutto bene e ricordati non esagerare con
gli amori spezzati, ricordati di non camminare a mente scalza sui frantumi dei
tuoi ricordi, ricordati di non  ascoltare, con troppa intensità e passione,
quella canzone che da giovane ti faceva impazzire, che mi fa impazzire…

 

 

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Er Bubba: VINCENZO

ti
dovresti guardare coi miei occhi

cazzo
piccolo

che
c’hai la magliettina griffata male,

che
c’hai la lingua stupida e volta a destra.

 

ti
dovresti guardare coi miei occhi

cazzettino
di spugna

che
ti masturbi nel freddo della tua stanza

ipotizzando
la carriera,

che
non te lo ficco in culo

per
questione di decenza.

 

ti
dovresti morire coi miei occhi

orgasmo
stanco della natura

che
non sei lupo e non sei pecora,

che
l’altro giorno: Vincenzo.

 

Sergio Branca – NUVOLE

 

L’estate
del 1916 fu dolcissima. Nelle montagne intorno a Palizzi la ginestra sembrava
proprio la regina della stagione. I minuscoli fiori gialli facevano sorridere i
fratelli Romeo, quasi ventenni. Quando non si andava a mare, le passeggiate tra
l’erba erano il passatempo preferito per Giando e Cola. Ed in quelle lunghe
camminate, lontano da occhi indiscreti, davano sfogo alla loro fantasia. A chi
fosse capitato per caso da quelle parti, sicuramente non sarebbe passata
inosservata quell’inconsueta scena. I due giovani erano soliti rimanere spesso
fermi con il volto verso il cielo, a plasmare le nuvole come le loro innocenti
voglie suggerivano all’improvviso. Li si vedeva lì, per ore. Immobili. Ognuno
con i propri disegni stampati sugli occhi ed uno strano gesticolare che alle
ragazzine del paese faceva spesso sorridere. “Tra un po’ in manicomio
finiranno”, ripeteva lo zio quando passando con il carretto li sorprendeva
nella loro furiosa danza. E così passava l’estate. Giando a dipingere nell’aria
i suoi cavalieri antichi. Cola che non disdegnava di ripassare le forme dolci
delle figlia del mugnaio. Ma la tramontana autunnale fa presto a cancellare
tutto, così come la chiamata alle armi. I due giovani partirono dal paese a
fine dicembre, e dopo un bacio alla madre ritornarono a sfogliare l’album del
cielo. In caserma fecero irritare non poche volte l’ufficiale Fiorentino. Una
domenica di febbraio, con un tempo insolitamente bello per il mese, l’intera
squadriglia si apprestava alla marcia mattutina. Il secco “un due, un due”
dell’ufficiale stonava con l’intento dei due calabresi che d’improvviso si
bloccarono rapiti dalla maestosa figura di un leone, facendo sbattere i
commilitoni dietro e risolvendo l’esercizio ad un capitombolo generale. Una
tragedia: furono spediti subito sulle Alpi, a “crear contro il nemico una
barriera”. A fine ottobre il battaglione si diresse per Caporetto. I prati
ricordavano ai fratelli l’estate di casa ed il cielo sembrava promettere nuove
meraviglie. Era da poco passata mezzanotte nel campo italiano, che il buio fu
illuminato dai cannoni austriaci. Si sparò, e si sparò. Si morì e si sparò. Si
fece alba. I due fratelli, imbracciati all’artiglieria, davano dimostrazione di
forza calabrese quando, come uno schiaffo, i raggi di sole li colpirono negli
occhi. Giando, il più alto dei due, gettò il fucile ed iniziò a dipingere un
drago con due nuvole basse. Cola, invidioso, scattò in piedi per afferrare due
seni sodi che si formavano a nord est. Fu vano ogni richiamo del colonnello. La
raffica austriaca squarciò i due corpi sudati mentre le mani ancora plasmavano
il cielo.


 

 

Francesco Villari – L’ULTIMA: QUELLA DELL’UNA E VENTINOVE

 

 

 

le parti basse fanno il loro dovere che mi
perdona la fase di stanca.

le gatte morte son morte e non tornano.

 

nell’angolo il predatore di cibo,

forzo la porta ed entro.

le tenue sonorità che di sottofondo

annaffiano la sala, sono soldi al punto di
partenza.

una zecca ne conia il marchio
imprescindibile e valevole a fini fiscali.

mi immischio in questioni non mie,

le fantasie della luna e quelle della voce

sono destinate a coesistere anche se non
dovessi averne voglia.

 

una donna si spoglia e ne adocchio il passo

e ne immagino l’ odore,

leggero al pensarci poco

e molto,

ma molto, in effetti.

 

il morto del pozzo si erge e non ha mai
bevuto tanto,

disinteressato cambia canale e mi scopre

intento e serio,

piccolo e nascosto

alla ricerca con lampada a gas.

caccia aperta e mi cacciano a pedate.

 

il frate non mangia.

 

la pancia del frate non desensibilizza la
portata del sangue

che partente dal cervelletto non si nutre
se non per forza.

 

Frank Sinatra canta per me e per gli amici.

 

alle 13.31 non ne parla nessuno.

 

multe.

multe.

 

la tombola non è più un desiderio.

il medio che non parte

 

diverte la frangia unica,

le spalline del re

le spalline del re,

nettare del perdono che non sgorga più
dalle ginocchia della rana.

 

sono una frana a descrivere il NO

anche se NO non fosse.

 

militanti pentiti e fregnaccie di oggi.

 

malesiani rattoppati che ieri assumevano a
costo zero

qualsiasi donna in commercio.

 

la grinta che non ho

è il prezzo forte della collezione.

 

vago zombie mentre seduto dimentico

ed appesa al telefono mia
madre aspetta buone notizie.  
                   

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