Francesco Villari – IOLOZEROELAZAVORRA

 

 

Era il secondo giorno pari della quarta
settimana del mese. Mi sentivo solo, febbricitante e mancante la promessa di
riprendermi fatta ai miei genitori che mi avrebbero portato, finalmente, allo
“ZOO”. Millecinquecentododici presenze la settimana prima e le migliori
premesse al week-end evento. Avevano allestito la gabbia centrale, quella
enorme, quella all’interno della quale King Kong avrebbe potuto completare le
figure olimpioniche di una qualsiasi quattordicenne rumena danzante
artisticamente. Non vedevo l’ora.

In effetti avevo annebbiato il mio corpo al
punto che l’Aerosol mi avrebbe utilizzato a ciclo continuo e ripetuto come alle
cinque del pomeriggio si adopera la teiera. Un semplice corpo di passaggio. Non
che io avessi di preciso qualcosa contro… ma avevano ingabbiato lo “ZERO”. Non
che mi dispiacessero i numeri certo. Uno, perché altrimenti non avrei mai
potuto sognare di fare il ragioniere. Due, perché non mi sarei potuto
commuovere leggendo la notizia del settantatreenne che spendendo cinque eurus
(taglio classico) aveva grattato la gobba alla fortuna che sazia e lussuriosa
aveva ripagato con una mancia milionaria assolutamente utilizzabile per poter
curare il figlio di non so cosa perché piangendo bagnai il foglio che scomparve
ai miei occhi. Non avevo i novanta centesimi necessari a comprarne un’altra
copia. Comunque se li avessi avuti li avrei utilizzati per sapere cosa fosse
successo oggi sul giornale di domani.

Avevano finalmente ingabbiato lo Zero!! Avevano
stretto attorno a lui le corde in infrarossi e lasciato che lui, dormiente,
potesse continuare a sognare e che loro, rielaborati leonardiani vincenti,
potessero colpirlo nel suo punto debole: il buco.

Non so se sapete di cosa possa essere fatto
lo Zero, ma quando capii che alla spiegazione dei ben informati non si poteva
dar credito, mi irrigidii e decisi, convinto di me, che lo zero era fatto di
nulla.

Io ero fatto di medicinali. Lo Zero era fatto
di nulla. L’azzardo sarebbe stato voler curare il nulla con i medicinali, ma
credo che questa sia già una pratica adottata e sarebbe da barbari accanirsi
con chi ha trovato una famiglia che gli vuole bene.

Ebbene, si! Mi coprii a dovere tutta la notte
ed attesi il riscontro del termometro che per me, irrilevante futuro
ragioniere, segnava 37.3 ma avendo meno di 14 anni si toglie uno 0.5 quindi
avevo un bel 36.8. “Andiamo a vedere lo Zero!!!”.

Non mi interessava la fila. Non mi
interessava che avessero raddoppiato l’incasso, i conti li avrei fatti in
futuro. Non mi interessava che mio padre avesse pagato per me un intero e non
un ridotto. Volevo vedere lo Zero. E lo Zero vidi, ma da lontano. Cercai di
aprire una breccia tra le braccia dei tremilaventiquattro presenti e riuscii a
sfondare tra la ventesima e la centotreesima. Era fermo. Era pacato. Era
dimesso. Era probabilmente imbottito di inutili medicanti a corollario di una
dieta fatta di silicone a chiusura del buco. Non riuscivo a parlare per
l’estrema emozione nel tentare di comprendere i motivi che portavano
seimilaquarantotto mani ad applaudire al nulla. Il nulla, capisci!

La contemplazione del nulla che è
fondamentale alla risoluzione di mille e mille e mille  problematiche e che probabilmente serve anche
alla riuscita di uno zabaione frustato da tremilaventiquattro coppie e
coppiette avide di nulla. Io invece ero avido di Zero. Mio padre e mia madre
erano avidi di me che mi ero perso.

Lo Zero sbadigliò come se dal lungo sonno si
potesse emergere con una lunga boccata d’aria. Lo Zero sbadigliò e si aprì una
falla. Dalla ferita, il risucchio dell’aria era diventato vitale per lo Zero
oramai famelico. E dalla bocca ancora una concentrica ricerca di aria, come un
vorticoso tifone che implode. E seimilaquarantotto occhi strabuzzati non tanto
per la meraviglia alla quale assistevano ma per la voracità del risucchio. Ed
io, perfettamente cosciente che lo Zero fosse fatto di nulla, saldamente
piombato a terra dalla zavorra che coprendomi quasi per intero aveva delle
dimensioni pari a centocinquantasette centimetri. Io e i miei quattordici anni
non avremmo ceduto alla forza dello Zero. Vidi l’evento promesso
materializzarsi attraverso la sparizione di tutto quanto possibile fagocitato
dal nulla.

Altro che “Z” di Zorro. La “Z” di Zero.

A Zero sazio rimase il nulla. Ed io. E la
zavorra. I miei quattordici anni. La certezza di poterne compiere quindici. Il
mio futuro da ragioniere equilibrista dei numeri che per chiudere il cerchio
sugli eventi avrebbe dovuto tirare una linea alla quadratura… e ripartire da
Zero.

 

 

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