Alla radio dicevano che gli eroi
erano appena scesi in campo.
La temperatura era piacevole.
L’orologio segnava le 4 del pomeriggio
ma si non si sudava mica
in sud Africa.
Fuori dalla fabbrica
invece
c’era abbastanza acqua
da dissetarlo tutto,
quel continente di colore.
Al pranzo
ci pensarono le donne.
Le mogli degli operai
erano le migliori
in fatto di pranzi domenicali.
Quelle che s’erano date veramente da fare
erano impegnate a spartire
decine
di porzioni
di pasta al forno.
Qualcun’altra,
per lo più
donne che non nutrivano alcuna fiducia
nei loro uomini,
se l’era sbrigata
con una semplice
insalata di riso.
Ma si sa,
quando fa caldo
e senza futuro,
ci si accontenta di tutto
pur di mangiare.
Alle birre,
invece,
c’avevano pensato i maschi.
Come da tradizione.
Quando gli eroi
smisero di stonare l’inno nazionale
lo striscione era già bello che steso.
Su, c’era scritto:
“LA NAZIONALE GIOCA. NOI VOGLIAMO LAVORARE.”
Conoscevo poeti
che avrebbero volentieri
venduto l’anima al demonio
per un verso
sincero come quello.
Poi
alla radio
il cronista disse che gli avversari
erano passati in vantaggio.
Lo sportello spalancato
della vecchia Fiat
di un metalmeccanico
rimasto cieco d’un occhio
ripeteva le stesse parole allarmate:
“IL NEMICO E’ SOPRA DI UNO! IL NEMICO E’ SOPRA DI UNO!”
e tutti gli operai
gli si fecero contro,
coprendo ogni centimetro d’aria disponibile
per sentire da vicino
le parole della voce metallica.
Era vero,
si era sotto di uno.
Ma non era poi così importante
se paragonato al futuro.
Alla notizia del vantaggio,
nel cortile della fabbrica,
qualcuno bestemmiò.
Altri,
semplicemente,
tornarono a reggere lo striscione.
Ce n’erano almeno 6 metri da stendere
e servivano UOMINI per farlo.
Poi,
dall’altra parte della strada
oltre il cortile,
come in simultanea
cominciarono a parcheggiare
dei grossi furgoni colorati.
Avevano dei simboli
e dei numeri impressi sulle fiancate
e c’erano antenne e
dispositivi di ricezione d’ogni genere
a tappezzare quei tettucci.
Le donne, frattanto,
avevano già ripulito tutto quanto:
piatti,
bicchieri,
posate,
tutto.
Nemmeno una cicca
avresti trovato
sul cemento
di quel cortile.
Si disse che erano giornalisti,
quelli nei furgoni,
ed era cosa buona
perché sarebbero scesi
a far domande
e risposte era quello che avrebbero trovato.
Intanto,
brutte notizie arrivavano dalla Fiat.
La Nazionale era riuscita a insaccare un punto
– per cui s’era ancora in gioco –
ma l’arbitro aveva annullato tutto.
C’era stata una scorrettezza
nell’azione
e immediatamente
era stata punita.
Molto fiato era stato sprecato.
Non se l’aspettava nessuno,
quella palla aveva davvero bucato la rete.
Anche il vecchio cieco
ci avrebbe scommesso gli occhi.
Ma poco importava:
c’era da andare avanti.
Gli operai stesero lo striscione
e il primo giornalista
corse a piazzare il microfono
sotto quei musi sporchi di sugo.
Poi fu il turno del secondo.
Poi toccò al terzo.
Poi al quarto
e altri ancora ne arrivarono
armati di gelati magnetici,
coi loro registratori digitali
e domande innocue
e c’era solo da rispondere
SI o NO
e molti operai dissero di SI,
e molti altri,
invece,
dissero il contrario.
Nessuna buona
giungeva
nel frattempo
dalla Fiat.
Gli avversari avevano raddoppiato il distacco.
E del padrone della fabbrica
s’erano perse le tracce.
Molti di loro,
molti degli operai
tifavano per la squadra del padrone,
anche se non amava farsi chiamare “padrone”, lui
ma
“Amministratore Delegato”.
In ogni caso
s’era sotto di due
è questo era quanto.
Quando
a una domanda
un operaio non rispose
né SI né NO
la Nazionale
finalmente
andò a segno.
Non era stata una risposta da vincitori
certo
ma la palla era entrata
e aveva fatto tremare la rete
come si doveva.
Si stava perdendo da schiavi,
e qualcuno lo disse anche.
Ma mancavano pochi secondi
e alla fine
l’arbitro fischiò 3 volte.
Fuori!
Gli eroi piansero
stringendo l’erba del prato
di Johannesburg.
Piansero e andarono via.
E una volta entrati negli spogliatoi
gli eroi
piansero ancora.
L’indomani
avrebbero rimesso le mutande in valigia
a sarebbero finalmente tornati a casa
a godersi fiche e miliardi,
dimenticando in fretta tutto.
Poi
i giornalisti
misero in moto i furgoni
e andarono via.
Le mogli degli operai
sonnecchiavano
stese sul piazzale della fabbrica
mentre il vecchi cieco
si faceva riaccompagnare
alla sua macchina.
Qualcuno avrebbe guidato per lui,
come sempre.
Forse non il sindacato,
forse non il partito,
forse non il popolo,
ma uno schifo di cane bastardo,
sicuro,
gli sarebbe toccato.
Lo striscione fu riavvolto
con cura,
magari lo si conservava
per la prossima
cassa integrazione
poi
tutti a casa
a seguire i processi
alla Nazionale.
Intanto
quel giorno
i sacrifici dei padri
morivano al sole
di un estate troppo fredda
per essere