Sergio Branca – NUVOLE

 

L’estate
del 1916 fu dolcissima. Nelle montagne intorno a Palizzi la ginestra sembrava
proprio la regina della stagione. I minuscoli fiori gialli facevano sorridere i
fratelli Romeo, quasi ventenni. Quando non si andava a mare, le passeggiate tra
l’erba erano il passatempo preferito per Giando e Cola. Ed in quelle lunghe
camminate, lontano da occhi indiscreti, davano sfogo alla loro fantasia. A chi
fosse capitato per caso da quelle parti, sicuramente non sarebbe passata
inosservata quell’inconsueta scena. I due giovani erano soliti rimanere spesso
fermi con il volto verso il cielo, a plasmare le nuvole come le loro innocenti
voglie suggerivano all’improvviso. Li si vedeva lì, per ore. Immobili. Ognuno
con i propri disegni stampati sugli occhi ed uno strano gesticolare che alle
ragazzine del paese faceva spesso sorridere. “Tra un po’ in manicomio
finiranno”, ripeteva lo zio quando passando con il carretto li sorprendeva
nella loro furiosa danza. E così passava l’estate. Giando a dipingere nell’aria
i suoi cavalieri antichi. Cola che non disdegnava di ripassare le forme dolci
delle figlia del mugnaio. Ma la tramontana autunnale fa presto a cancellare
tutto, così come la chiamata alle armi. I due giovani partirono dal paese a
fine dicembre, e dopo un bacio alla madre ritornarono a sfogliare l’album del
cielo. In caserma fecero irritare non poche volte l’ufficiale Fiorentino. Una
domenica di febbraio, con un tempo insolitamente bello per il mese, l’intera
squadriglia si apprestava alla marcia mattutina. Il secco “un due, un due”
dell’ufficiale stonava con l’intento dei due calabresi che d’improvviso si
bloccarono rapiti dalla maestosa figura di un leone, facendo sbattere i
commilitoni dietro e risolvendo l’esercizio ad un capitombolo generale. Una
tragedia: furono spediti subito sulle Alpi, a “crear contro il nemico una
barriera”. A fine ottobre il battaglione si diresse per Caporetto. I prati
ricordavano ai fratelli l’estate di casa ed il cielo sembrava promettere nuove
meraviglie. Era da poco passata mezzanotte nel campo italiano, che il buio fu
illuminato dai cannoni austriaci. Si sparò, e si sparò. Si morì e si sparò. Si
fece alba. I due fratelli, imbracciati all’artiglieria, davano dimostrazione di
forza calabrese quando, come uno schiaffo, i raggi di sole li colpirono negli
occhi. Giando, il più alto dei due, gettò il fucile ed iniziò a dipingere un
drago con due nuvole basse. Cola, invidioso, scattò in piedi per afferrare due
seni sodi che si formavano a nord est. Fu vano ogni richiamo del colonnello. La
raffica austriaca squarciò i due corpi sudati mentre le mani ancora plasmavano
il cielo.


 

 

Francesco Villari – L’ULTIMA: QUELLA DELL’UNA E VENTINOVE

 

 

 

le parti basse fanno il loro dovere che mi
perdona la fase di stanca.

le gatte morte son morte e non tornano.

 

nell’angolo il predatore di cibo,

forzo la porta ed entro.

le tenue sonorità che di sottofondo

annaffiano la sala, sono soldi al punto di
partenza.

una zecca ne conia il marchio
imprescindibile e valevole a fini fiscali.

mi immischio in questioni non mie,

le fantasie della luna e quelle della voce

sono destinate a coesistere anche se non
dovessi averne voglia.

 

una donna si spoglia e ne adocchio il passo

e ne immagino l’ odore,

leggero al pensarci poco

e molto,

ma molto, in effetti.

 

il morto del pozzo si erge e non ha mai
bevuto tanto,

disinteressato cambia canale e mi scopre

intento e serio,

piccolo e nascosto

alla ricerca con lampada a gas.

caccia aperta e mi cacciano a pedate.

 

il frate non mangia.

 

la pancia del frate non desensibilizza la
portata del sangue

che partente dal cervelletto non si nutre
se non per forza.

 

Frank Sinatra canta per me e per gli amici.

 

alle 13.31 non ne parla nessuno.

 

multe.

multe.

 

la tombola non è più un desiderio.

il medio che non parte

 

diverte la frangia unica,

le spalline del re

le spalline del re,

nettare del perdono che non sgorga più
dalle ginocchia della rana.

 

sono una frana a descrivere il NO

anche se NO non fosse.

 

militanti pentiti e fregnaccie di oggi.

 

malesiani rattoppati che ieri assumevano a
costo zero

qualsiasi donna in commercio.

 

la grinta che non ho

è il prezzo forte della collezione.

 

vago zombie mentre seduto dimentico

ed appesa al telefono mia
madre aspetta buone notizie.  
                   

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Aldo La Serpe – TEMPO PRIMO (tratto da SOLO TUA)

Sono mie queste parole,  queste collette d’interni, o abbracci per
contratto, o regole sotterranee,  o
ancora cantine di frustrazioni? …. Chi sono gli uomini che troveranno fragore
in me? i reclusi? gli internati? sono delle parole queste? dove sono chiuso?
dentro l’esplosione in una cella?

Diciamo che stavo seduto sul water, sai cosa si fa sul water? Io lo so…
io mi svuoto e poi mi riempio e m’ingrasso e se crepo ingrasso i vermi e se non
crepo sfondo..

 Muovetevi miei cari sinistri,
miei cari ministri, miei cari ospiti al banchetto dell’emisfero celebrale
affinché io sia posseduto. Stronza vuoi che io sia posseduto? Gia fatto! Ma da
me stesso…

 Quindi spegnete la luce, cavatemi
gli occhi, strappatemeli che voglio più visioni. Bando al suono, e ai  colori, 
e che abbia pazienza il mare se lo rivelo ancora una volta… sono stato
castigato dall’enormità una volta…

Che sia pure quel che mi merito, io ora proprio sul punto di esplodere
farò l’infame, e gli dei mi puniscano anche loro se mi pentirò sul fatto di non
scorgere dentro il cuore pieno godimento nel rivelare il male fattomi
ingiustamente… occhi pazzi dentro una gabbia di pazzie e passioni.

A che punto sei mio fraterno lettore?

Eccolo arriva. Si è arrivato con le streghe, non sarei mai riuscito ad
immaginarlo altrimenti. Che tempestoso inizio che è con tutti i suoi prodotti
tipici, è un  vero maestro sono posseduto
a metà come piace a lui. Lentamente o dolcemente sale da sotto cuore e stimola
quello che più può farmi paura.

Ma si amerò fino in fondo il male o il bene tanto poi mi sveglierò con
le descrizioni più belle.

Coraggio bambini un due e tre fuori dal giardino dell’infanzia, ecco gli
odori, ecco  la città oscurata, ecco la
missiva d’espiazione. Il vero massacro è la verità se scovarla non la vogliate:
il tuo mondo è salvo per una bugia.

Al sotto soccorso il corpo umano ha poesie e non organi ..

La beffa, la reclusione del coraggio per non dire tutto, se solo avessi
la certezza che il segnale al giusto orecchio 
giungesse senza tremito direi, anche se di preciso al collettivo non
saprei che vomitare, la mia la dico bene adesso.

 

La strada è calda come la piena estate vorrei la coda di un felino e
correre ma ho i piedi quindi ecco la miccia. Ma dove sono le mie braccia, il
tuo riso e le nostre mani per mano Signore? Non so a chi mi sono rivolto ma so
di non essere confuso sarò preciso:

Sto sciogliendo il cuore goccia a goccia e poi un altra e un altra
ancora lentamente nel ventre della corsa che porta fino al mare quello dove
sempre sì tocca, lì non ho paura di affogare.

Apri la bocca i tuoi denti bianchi
e perfetti masticano aria fino all’essenza.

Io ti guardo e non lo sai ? Non senti che vorrei sfiorarti? Non toccarti
! Sfiorarti come piaceva a te ..

Lo scrivo quanto ti adoro ma tu ora
guardi dove non so e dove immagino, e per questa fantasia tremo,  mi perdo e mi trafiggo prima di vestirmi a
festa e uscire.

Se io parlo o chiacchiero o aspetto e m’intrattengo cantando, cantando
potrei sentirmi lo stesso vivo.
No no,  no
vivo!
Di certo lo sono! Allora diciamo
potrei sentirmi utile a me stesso.

Ricordo e arrossisco nel pensarci su, che ero davvero triste davanti
agli occhi suoi e non capivo come mai, e non lo comprendo neanche al momento,
boh sarà che adesso non m’importa un bel niente credo.. forse non sto
rimuovendo un gran che… Bah… Poco conta quel che dico in questa circostanza
confusionaria il mio massimo è l’innato non il peso.

Il vero sovversivo oggi è chi non si lamenta, io non penso di lamentarmi
su qualche cosa di preciso, no forse sono un po’ arrabbiato con Dio perché non
trovo piacere ad avere troppa coscienza e decidere d’avere troppa testa sulle
cose che in qualche maniera contano.

Contatemi i capelli che mi esplodono e perché! – Porco Dio.

Parole a vuoto anche per me , sì le mie, le mie, le mie parole… le mie
parole d amore.

Denunciatemi a me stesso che voglio confessarmi ad un possibile
rappresentante di Dio e assolvermi se tutto torna… se…

Non darmi l’amore se tieni alla mia salvezza capisci cosa esigo non
ricoveratemi ancora dalle megere.

 

Non darmi la ragione ancora per un Po..poco! Vorrei che il grande
acquazzone che si tuffa nel piccolo fiume divenisse donna da mordere e che
fosse un buon canale all’inferno che cerca lo sfogo immenso. Ci pensi, le alghe
muoiono di fame, perbacco, di fame, non è stupidamente ironico che  le alghe abbiano fame? Io pensavo fossero in
acqua per la sete primitiva come una sorte di grazia. Io pensavo tante cose
anche che tu fossi mia ma tu sei solo tua. E porco del tuo dio anche io sono
solo mio.

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Omaggio a Cecco Angiolieri – S’io fossi foco

S’ i’ fosse foco, arderei
‘l mondo;


s’ i’ fosse vento, lo tempesterei;

s’ i’ fosse acqua, i’ l’annegherei,

s’ i’ fosse Dio, mandereil’
en profondo;


s’ i’ fosse papa, sare’ allor
giocondo,


ché tutt’ i cristiani
imbrigherei;


s’ i’ fosse ‘mperator, sa’
che farei?


a tutti mozzerei lo capo
a tondo.


S’ i’ fosse morte, andarei
da mio padre;


s’ i’ fosse vita, fuggirei
da lui:


similmente farìa da
mi’ madre.


S’ i’ fosse Cecco, com’ i’
sono e fui,


torrei le donne giovani e
leggiadre,


e vecchie e laide lasserei
altrui.

(Cecco Angiolieri 13°-14° secolo)

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Pino Amaddeo: ALTRE BARZELLETTE (o Preghiera Settembrina)


 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Aspetta un momento, scusa ma adesso sto facendo dei conti
perdonami sarà per un’ altra volta, ci saranno altre occasioni
non avrei voluto disturbarti ma è una questione urgente
certo puoi anche amare la libertà ma continui a fingere
e nella peggiore delle ipotesi se ne accorgono solo in pochi.
Chiamami se hai bisogno, io so a chi rivolgermi, gente giusta !
Certo che in qualcosa ci assomigliamo, anch’ io defeco
Vogliamo darci un taglio? Va bene, va benissimo!
Non credo nelle vostre bugie, attenzione
non è che non credo più nelle vostre bugie
praticamente non ci ho mai creduto, cascato certo
ma non ho mai creduto nelle vostre leggi
nella vostra educazione, nei vostri insegnamenti
e so anche perchè vi prude il culo
vi prude il vostro fottutissimo culo
perchè non mi prendete più
perchè avete perso il controllo di me
perchè riconosco di non essere un uomo libero
perchè mi piace il sapore del vino
perchè riesco a masturbarmi serenamente
perchè continuamente disconosco le gelosie
perchè bestemmio senza un motivo valido
perchè mi scopo tua sorella e lei gode come una vacca
perchè mi faccio inculare per piacere e non per moda
perchè ho delle meravigliose erezioni.
Aspetta un momento, mi stanno chiamando
scusami e perdonami, l’ occasione è occasionale
il santo passa una sola volta.
Dai raccontami una barzelletta
"il serpente velenoso era ormai vecchio
il vecchio assomiglia al serpente
e promette, promette per fottere la pazienza di dio"

Non credo nelle vostre bugie
ma non credo neanche nelle vostre verità.
Riconosco di non essere un uomo libero
mi piace il sapore del vino
riesco a masturbarmi serenamente
continuamente disconosco le gelosie
bestemmio senza un motivo valido
mi scopo tua sorella e lei gode come una vacca
mi faccio inculare per piacere e non per moda
ho delle meravigliose erezioni.

Eccomi sono ancora qui
occasionalmente il santo è ripassato
e mi ha raccontato altre barzellette.
 
 
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Lello Campolo: ‘A FAVULA ‘RU PONTI (La favola del ponte)


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Nù jornu ‘u
presidenti i tutti l’italiani

vinni mi ndi
faci visita…ogni tantu puru ‘e cani !
si  mangiau i maccarruni cu zucu du maiali
un biccheri i vinu bbonu e l’idea fu geniali…

 

Si jasau
tuttu cuntentu, ggrirava eureka eureka !
Passava nu traghettu e dissi: “Chissu è na ciofeca,
nci voli nu bellu ponti u chiù longu i tuttu u mundu”
Fici nu disegnu e nci misi nu sicundu :

 

“A ‘ccà
passunu i treni e ‘ccà i machini a caminari
Semafuri e cartelloni , stradi supplementari,
ma i tutti chisti cosi esti ancora assai chiù bellu
com’è comudu pavari, ‘pì ccù passa ‘nto casellu!

 

Chi ndi
futtimu nui rì  spiaggi, ru litorali
ri lavuraturi, i sti quattru vecchi, ri lampari…
chi ndi futti si è giustu o no, si faci beni o si faci mali
l’importanti è varagnari, tantu a genti ndavi chi ‘ffari”

 

Cusì chiamau
a radunu architetti e industriali
ingegneri senz’ingegnu e baruni e cardinali
si misuru a lavurari tutti quanti a stu progettu:
signori e signori eccu “u ponti supra u strittu”

 

Ma a
ccaccarunu st’idea ccuminciau a non piaciri
Quantu sordi chi nci vonnu e cu sti stradi aundi ajjiri?
Ma non viri quanta mundizza chi nc’esti ntè sciumari,
i spiaggi sunnu lordi e mari i merda a galleggiari!

 

U presidenti
sa sentiu e si mpuntau comu pi dispettu
“Non mi fannu fari nenti, polemizzunu  pi dilettu,
pirchì stù guvernu  vi vosi sempri sempri beni
comu a un padri chi so figghi, intra ‘o cori sempri i teni!”

 

A sunata è
sempri a stessa, e ci mentunu fervori
ntò parrari sunnu bravi sannu sempri cosa diri

sannu
ciangiri a cumandu chi risati all’occorenza,

e a genti si
spirdìu comu si faci mi si penza!
 

 

 Un giorno il
presidente di tutti gli italiani

venne a
farci visita, ogni tanto pure ai cani!

Si mangiò i
maccheroni col sugo del maiale,

un bicchere
di buon vino e l’idea fu geniale.

 

Si alzò
tutto contento, gridava : Eureka! Eureka!

Passava un
traghetto e disse : “Questo è una ciofeca,

ci vuole un
bel ponte, il più lungo di tutto il mondo!”

Fece un
disegno e ci mise un secondo :

 

“Quà passano
i treni e quà le macchine che circolano

semafori e
cartelloni , strade supplementari,

ma di tutte
queste cose è ancora assai più bello,

come è
comodo pagare, per chi passa dal casello

 

Che ce ne
fottiamo noi, delle spiagge, del litorale

dei
lavoratori, di questi quattro vecchi, delle lampare

cosa ce ne
fotte se è giusto o no, se fa bene o se fa male,

l’importante
è guadagnare, tanto la gente ha il suo daffare

 

Così chiamò
a raduno, architetti e industriali,

ingegneri
senza ingegno e baroni e cardinali

si misero a
lavorare tutti quanti a questo progetto:

signori e
signori ecco “il ponte sullo stretto”

 

Ma a
qualcheduno quest’idea cominciò a non piacere :

“Quanti
soldi che ci vogliono, e con queste strade dove devi andare?

Ma non vedi
quanta immondizia che c’è nelle fiumare,

le spiagge
sono sporche e mari di merda a galleggiare!”

 

Il
presidente si offese e si impuntò come per dispetto :

Non mi fanno
fare niente, polemizzano per diletto,

perché
questo governo vi ha voluto sempre sempre bene,

come a un
padre con i suoi figli, dentro il cuore sempre li tiene!

 

La musica è
sempre la stessa e ci mettono fervore

nel parlare
sono bravi, sanno sempre cosa dire

sanno
piangere a comando con le risate all’occorrenza,

e la gente
ha dimenticato come si fa a pensare!
 
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Gianni Cossu: SCOTCH ANAFILATTICO

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Il tempo passa e poi si ferma,
quando si ferma, pausa sul lavoro tre chiacchiere tra vicini di casa ai
Giardini pubblici: uno con il suo cane, l’altro con un bimbo di tre anni. Uno è
il tempo l’altro sei tu. Poi c’è il tempo ammalato, l’hai saputo da un amico,
non lo incontri da parecchio: meglio una metastasi da cui issarsi come uno
splendido fungo dalla crosta dello sterco su un prato che una depressione. Il
tempo passa e poi si ferma: non siete mai stati insieme, neppure a scuola, solo
incontri occasionali in non luoghi più o meno ameni (stazioni, ospedali,
commemorazioni, scioperi, parate, funerali, giardini pubblici…) però si
ferma. Forse gli è morto il cane, forse la moglie l’ha lasciato insomma non c’è
bimbo, ne collare e soprattutto non ti saluta come è solito fare, sta di fronte
a te, tu stai di fronte a lui. Sicuramente l’unico che sa cosa fare è lui cioè
niente. La situazione è imbarazzante, ogni tua parola viene inghiottita dal
nulla, chiaramente lui è depresso, sedato, ma ti fissa con gli occhi vitrei.
Poi, spostandosi a destra o a sinistra se ne va e tu lo guardi fare ciò che ha
fatto con te (cioè niente in fondo) con un cestino della spazzatura, con il
tronco di un albero, con l’ombra di un autobus riflessa su un muro. Però con
l’ombra gesticola lentamente e sembra parlare, proprio come faceva con te una
volta. Prima, insomma, che stesse male.

D’improvviso capisci che non è una
buona serata per stare in giro, il problema è che lo pensi in treno,
d’improvviso capisci che non è una buona serata per stare a casa, il problema è
che lo pensi in Ospedale mentre torni dall’ultimo coma espresso lungo un tunnel
in discesa sempre meno illuminato su un cigolante carrello da minatore. Verrai
dimesso ieri sera, nel frattempo è fine settimana e ti senti solo: tutto ciò
che hai intorno ha da fare e ti nasconde i suoi piani e la sua vita, ti
emargina, quindi decidi di uscire e andare a passeggiare ai giardini pubblici:
ti investe un Tir uscito da una galleria e slittato sulla pista ciclabile e
pedonale mentre il tempo siede a leggere il giornale della prossima settimana
che ormai non parla più di te, ne del tuo cane, o era il suo cane. Il tempo
sembra pensarci e già una donna gli si avvicina per chiedergli se per caso ha
visto il suo bambino sgambettare.

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Hasael – NON SENTO BENE PER NON SENTIRE MALE

 
 
Sono questi…

  i momenti esasperanti di odioso silenzio


quel silenzio sordo.. di esistenze che si approssimano


quell’essere sordi


l’esistenza scostante che ti sopravvive accanto


sorda, sorda, irrimediabilmente sorda


i silenzi cercati, i silenzi finti… per fuggire dall’interazione


  i momenti codardi di nauseante silenzio


il silenzio della vergogna..
.

il silente disinteresse


la silenziosa ritrosia del percepire altre esistenze


la muta apparenza di chi non vuol sentire


  i momenti dilatati… di muti riflussi
.
 Continuano ostinatamente ad essere questi...

quei momenti vigliacchi di silenzio cercato.



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Giacomo Giacomazzi – IL MORBO

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A volte

sento il bisogno

di prendere un foglio bianco e di strapparlo.

E spargere nel vento

quei coriandoli senza nome,

né segno.

Per far sì che corrompano il mondo

e diffondano il morbo:

insoddisfazione,

insufficienza,

desiderio.

Quello stesso morbo che,

perennemente,

mi spinge a violentare il lindore

della placida, remissiva carta.

Er Bubba – DON SAVERIO

 

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mi hai chiesto un voto e io non te l’ho dato:

scusa, mi dispiace.

 eri il più forte della scuola,

 ma il primo giorno
hai pianto.

 

  

mi hai chiesto un voto e io non te l’ho dato:

scusa assai.

ti ricordi la bicicletta da bambini?

un sellino per due persone

pedalavi la domenica mattina.