Antonio Cardia: LISA DELLE MIE METASTASI

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Lisa mi
lasciò e la cosa per me non fu troppo strana. Niente era strano in quello che
era successo tranne il fatto che le mie gambe si allontanarono da lei con una
velocità di cui non erano abituate. Lei prese un autobus, la vidi sedersi sul
sedile e tenersi la pancia, come in preda a coliche, portando la testa
all’indietro.

Lisa fu una
di quelle storie che diventano molto più importanti quando finiscono che quando
sono ancora in corso. Durante il mese che ci frequentammo il mio coinvolgimento
nei suoi confronti si era sempre mantenuto al di qua della pericolosa linea
emotiva oltre la quale si intravede il profilo dell’innamoramento. Lisa, non ho
mai capito fino a che punto fosse arrivata, in quel mese.

I problemi
vennero dopo.

Già la prima
notte non riuscivo a dormire e dovetti prendere un sonnifero. Non mi era mai
successo prima. Sono sempre stato abbastanza regolare. La mattina dopo non
riuscì a svolgere le mie consuete funzioni fisiologiche e stetti male tutto il
giorno come se qualcosa di dovuto non fosse stato svolto.

Le giornate
mi passavano veloci. Il lavoro era noioso ed umiliante come sempre, ma sembrava
che terminasse ogni giorno prima per fare in modo che mi trovassi in casa, da
solo, a pensare. E pensavo a Lisa.

Le domeniche
erano anche peggio. Non lavoravo e avevo tutto il tempo per pensare a lei. Mi
era entrata all’interno dopo. Quando era mia era sempre stata una cosa esterna,
altro da me e lontana dalla mia biologia.

Iniziai ad
uscire da solo, sempre sotto la pioggia dato che i fatti si svolsero a
febbraio, e ogni sera tornavo a casa sempre più ubriaco. Fumavo duemila
sigarette e sembravo uno di quegli stupidi disperati da film. Stavo diventando
uno stereotipo, ma bere non mi aiutava affatto a dimenticare. Ad ogni sorso
vedevo Lisa davanti a me e il whisky me la spingeva più in fondo, dentro le mie
viscere ed ogni boccata di tabacco me ne faceva riempire i polmoni della sua
immagine.

Esattamente
dopo trenta giorni da quando vidi Lisa per l’ultima volta cominciarono i primi
sintomi.

Giravo
sempre tutta la notte prendendomi tutta la pioggia di questo mondo ed il vento
che i vicoli della città mi gettavano contro, ma non mi era mai piaciuto
vestirmi troppo pesante così, sulle prime, il dolore al petto che mi avevo lo
scambiai per un dolore intercostale provocato dal freddo che inevitabilmente
prendevo. Per scacciarlo accendevo una sigaretta e espandevo al massimo i
polmoni per aspirare il fumo. Dopo un paio di boccate il dolore scompariva.
Mentre aspiravo pensavo sempre a Lisa e ficcarmela dentro i polmoni aiutava a
dilatare la mia cassa toracica maggiormente. Mi accorsi anche che cominciavo a
rantolare di tanto in tanto, come se mi si fosse fermato a qualcosa nella
laringe, ma anche quello lo attribuii al freddo.

Mi convinsi
di questo fino al giorno in cui, seduto alla mia scrivania, sul posto di
lavoro, il dolore fu talmente forte che non riuscii più a respirare. I miei
colleghi dovettero chiamare un’ambulanza. Mi dissero in seguito che ero
diventato cianotico.

Il medico mi
sottopose ad una radiografia toracica e mi disse quello che, dopo l’incidente
sul posto di lavoro, avevo cominciato a pensare anch’io. Avevo un cancro ai
polmoni al quarto stadio, con delle metastasi nella parte inferiore che avevano
attaccato anche le pareti dello stomaco. Mi mostrò le radiografie e mi fece
vedere le macchie scure nella parte basse dei miei polmoni. Macchie informi che
potevano rappresentare qualsiasi cosa, ma io le seppi leggere come un test di
Rorschach.

Il medico mi
fece portare a casa le lastre, non mi volle ricoverare, non so bene per quale
motivo. Quella notte misi le lastre davanti a me con una lampada dietro. Le
macchie scure si stagliavano ed io lo vidi in ognuna di quelle, camuffato come
un messaggio subliminale: il volto di Lisa.

Lisa era
dentro di me, mi stava scavando.

Dalla
mattina dopo presi ad osservare qualsiasi mia eiezione in cerca del suo volto
ed ogni volta mi appariva lucido, nelle mie feci, nel muco di ogni mio
starnuto, negli sputi sanguinolenti ai quali la malattia ogni mattina mi
obbligava. Cominciai a sentirla dentro di me. Cellule maligne di Lisa che
lasciavano la base dei miei polmoni, dove io le avevo spinte, e navigavano nei
miei vasi linfatici cercando nuovi approdi, cercando di conquistare più
territori possibili.

Dopo
un’altro esame approfondito il medico decise di ricoverarmi. Le metastasi erano
estese. Il medico mi disse che avrebbe potuto operarmi, cercare prima di
ridurre la loro portata con dei farmaci che avrebbero aiutato il mio
metabolismo a combattere le cellule tumorali per poi asportarle, ma non aveva
ancora afferrato il punto. Lisa era ormai il mio metabolismo.

Nel letto
d’ospedale rimanevo sveglio, con gli occhi chiusi, a pensare al suo corpo che
lentamente prendeva possesso del mio interno, dei miei organi vitali e mi
masturbavo a questo pensiero. La possessione erotica totale, l’essere
totalmente annientato dal suo volto scolpito nelle masse tumorali. L’idea che
il medico volesse asportare quello che lei aveva creato dentro di me, l’idea di
perderla ancora, proprio adesso che piano piano stava riuscendo a radicarsi nel
mio interno era insopportabile. Dovevo oppormi…

 

Adesso sono
collegato a macchinari di cui ignoro il nome e l’utilizzo. So soltanto che
fanno per me le funzioni fisiologiche di cui Lisa si è impossessata. Ancora
provo degli orgasmi all’interno dei miei organi ad ogni sua nuova espansione al
mio interno. Quando avrà preso possesso anche della fisiologia dei macchinari
sarà finito. E Lisa sarà capace anche di questo. Già il macchinario alla mia
sinistra trilla tre volte più spesso che due giorni fa.

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