Hasael – IKEA (SMOKING’S ROOM)

Esistono situazioni, nelle quali anche l’apparentemente banale, diviene evento.

Un po’ come quando ti parte un rutto al ristorante, voglio dire, cosa v’è di più banale dell’espulsione di gas prodotti dalla digestione?

Eppure il luogo o la circostanza creano l’evento, che si ammanta poi di svariate tonalità, dal fucsia del poveraccio dal rutto incontrollato, al cianotico del vicino di tavolo che ridendo si trozza con le ostriche, tutto sommato se la cosa va fino in fondo è una morte onorevole rispetto a chi si intossica col pollo del supermercato!

Ad ogni modo ci sono situazioni in cui l’umanità tracima, erompendo dal ristretto spazio biologico in cui il corpo a stento la contiene, fuoriesce dagli sguardi, dagli ammiccamenti, da una sequela di gesti, posture, bisbigli e mormorii e va ad infrangersi contro un vetro.

Al di qua del vetro ci sono io che tranquillo accendo un mozzicone di sigaretta, residuo dell’elaborazione artigianale di un tubetto al THC andato felicemente in fumo qualche settimana prima.

Il vetro racchiude uno spazio di circa otto metri quadri, tre tavolini in legno su cui troneggiano dei grossi posacenere, il vetro sostanzialmente racchiude l’isola del fumatore nell’affollato self-service dell’IKEA. È quasi una vetrina, una sorta di esibizione dell’insano, del vizio, del cattivo esempio esposto al pubblico ludibrio, c’è della teatralità nel rapporto tra il fumatore e il passante affaccendato col carrellino portavivande o il pasteggiante intento ad ingozzarsi di polpettine e salmone crudo.

La realtà è messa a nudo, palesata in un gesto banale come quello di accendersi una sigaretta, la barriera vitrea isola dalle esalazioni nicotiniche, così che si possa osservare la scena in totale sicurezza, e gli sguardi furtivi o insistenti che siano, guardano la realtà da dietro ad un vetro, spettacolo alquanto consueto per chi è abituato a sbocconcellare la realtà in monoporzioni sparate da uno schermo al plasma, il reale grazie alla vitrea mediazione si tinge di surreale, si ammanta dei connotati dello scenografico, del comico.

Immerso in questi pensieri digrignavo i denti per via del saporaccio di quella mezza sigaretta che aveva albergato nella mia giberna per due settimane, assorbendone tutti gli aromi e conquistando un sapore che alle note arroganti di cartone, aggiungevano quelle raccapriccianti di un preservativo schizzato fuori dal suo astuccio in alluminio, che se n’era poi andato in giro a spargere il suo lubrificante sul Moleskine da 15 stramaledetti euro.

Il momento meditabondo si arresta nel momento in cui entra un tipo che aveva tra le dita un piccolo miracolo, avvolto in gomma arabica e dal quale faceva capolino, un filtro d’ovatta da sei millimetri.

L’occasione si presenta nell’istante in cui mi chiede d’accendere, senza troppo scompormi gli porgo il mio BIC e poi gli chiedo:

“Scusi le avanzerebbe un filtrino?”

Il suo “Certo come no!” accompagnato dal frugare nel porta tabacco in pelle e seguito da tre cilindretti bianchi che venivano posati sul legno scuro del tavolino, hanno decisamente dato una svolta a quella giornata ignobile.

Spengo quel castigo divino, che avevo aspirato tra una bestemmia e l’altra, e mi metto all’opera per prepararmi una paglia.

Il discorso scorre lesto dal momento in cui gli spiego che mi ha salvato la fumata visto che le sigarette già confezionate non riesco a digerirle, ovviamente la storia del mozzicone gusto “Durex” la tengo per me.

Annuisce spiegandomi che da anni non compra un pacchetto di sigarette e che fuma solo il trinciato.

Così si comincia a discutere su tutti i modi per mantenere umido il tabacco “biondo” notoriamente per sua natura propenso a diventare polvere difficile da fumare, si passa quindi dagli umidificatori in terra cotta, alle scorze di mela, giungendo al posizionamento del pacchetto di tabacco nella parte bassa del frigorifero, fino al rituale di lasciarlo davanti alla finestra ad assorbire l’umidità del primo mattino.

Nel frattempo la scena viene seguita dal solito pubblico, reso muto dal vetro, che a suon di occhiate furtive e sguardi beoti, si gusta un pizzico di realtà in prima fila, espressa dal sodalizio tra due peccaminosi tabagisti che argomentano allegramente, per il tempo concesso dalla lunghezza di una cartina, sul piacere del tabacco appena aperto o sull’aroma del biondissimo virginia associato alla vivacità di un bicchierino di porto.

La vetrina inerte si erge a barriera muta tra un delirio di esistenze, intente a dare un senso ai risparmi acquistando oggetti di dubbia utilità e la comunicatività di due individui intenti a cercare un angolo di quiete in mezzo alla follia delle compere del sabato.

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