Francesco Villari – LA STRAORDINARIA AVVENTURA DI GULLITER



Quando Gulliter raggiunse la costa era giorno. Un uomo enorme. Con i suoi dread lunghi fino al culo, come fossero delle fruste pronte all’uso. Un uomo enorme e stanchissimo. Con quelle mani che avevano pagaiato fino alla spiaggia sulla quale adesso giaceva ricoperto dal sole e dalla sabbia Italyota. Si svegliò qualche ora dopo e scoprì di star bene. Quel bene che ti convince di essere ancora vivo nonostante tutto, che ti convince di essere ancora in grado di ricordare il motivo per il quale hai deciso di voler correre quel rischio.
Riprese le forze, Gulliter si incamminò tra gli alberi, distanti qualche centinaio di metri oltre la spiaggia. C’erano delle tracce tra le piante, dei sentieri naturali che davano come l’impressione che ci fosse già passato qualcuno o come l’impressione che quel qualcuno avesse preparato una trappola.
Gulliter si allontanò, con circospezione. Brattolaso, incaricato dal signore delle bratte al comando dell’isola, era un uomo furbo. Costruiva tutto quel che riteneva fosse da costruire secondo una rigida visione delle cose: non deve cambiare niente! La sua opera era una ricostruzione della realtà che, sfigurata dall’inesorabile trascorrere del tempo e dall’imprevedibilità della natura, andava riproposta in maniera identica a come era stato prima.
Costruiva una bella capanna dove c’era stata una bella capanna. E quando anche questa bella capanna sarebbe crollata – destino infame – la avrebbe ricostruita identica. Secondo le leggi antisismiche e antisommossa, controllava la tenuta dei pensieri delle bratte in ugual maniera. D’altronde era facile: era tutto scritto nelle rune di Brattasconi, l’immenso mezzosangue nano, signore e padrone delle bratte e di Brattolaso.
Il capellone Gulliter conosceva bene Brattasconi: lo aveva voluto lui nel Mitran. Lo aveva personalmente arruolato in quello squadrone della morte capace di sconvolgere il genere umano dedito alla rincorsa della palla prima che finisca nella rete. Per conto del mezzosangue nano, aveva anche ucciso gli hackers che utilizzavano l’equivoca dicitura “palla nella rete” per adattare i sistemi della comunicazione Infernet al programma di liberalizzazione delle informazioni chiamato Zeroazero: nessuna palla sarebbe dovuta entrare in rete ed il pareggio sarebbe stato il risultato democraticamente riconosciuto ed accettato, un risultato libero dai tagli disposti dalle rune. “Stronzate!”, pensavano in tanti, “è gente che va uccisa e basta perché contravvengono a quanto il nostro ruolo di controllori prevede e dispone”.
L’enorme uomo non più stanco, l’enorme Gulliter, non ne sentiva il rimorso. Ma pensare alla possibile esistenza dei rimorsi acuì il suo dolore, della ferita del suo cuore, perché non si finge nell’amore: doveva uccidere Brattasconi perché si era scopato sua moglie durante una domenica di battaglia sul campo.
Non poteva pensare che una donna – la sua donna – fosse stata vittima della violenza di un mezzosangue nano, per quanto divino si pensava potesse essere. Aveva nuotato tutta la notte. aveva ripassato il piano mille volte tra una bracciata e l’altra. Doveva colpire per primo Brattolaso, che dopo la folle corsa del nano dentro sua moglie, aveva utilizzato tutti fondi per ricostruirle l’imene e rifarlo identico a come era prima del loro primo incontro.
Una verginità fasulla, un amore alla deriva, un cazzo di nano. Non aveva mai pensato a quanto fosse cattivo il mondo delle bratte: infimo e goliardico, accattivante e traditore, distinto e merdoso. Un mondo devastato dei missili aria-aria e ricostruito su concetti terra-terra. Ma Gulliter, enorme e cornuto, voleva vendicarsi.
Cercò la finestra della villa sulla collina. Trovò Brattolaso intento ad abbronzarsi sotto la luce del sole dagli occhi di una ragazza. Era rilassato. A breve sarebbe stato nero. Gulliter si sfiorò i dread prima di sganciare il primo bottone ed abbassarsi i pantaloni. Poi cominciò a lavorare di mano. Con piacere. Una sorta di onda anomala sconvolse le villa, le case e le capanne, spense la luce del sole dagli occhi di una ragazza e affogò l’incaricato. Mille bratte piansero il morto. Mille bratte morirono a loro volta. Altre mille bratte non si accorsero di niente.
“Mors tua, mors tua”, diceva quello.
“Mors tua, vita mea”, era quello a cui pensava costantemente Brattasconi, il maledetto. Nel silenzio del sonno, Gulliter provò a raggiungerlo fin quando… fin quando… il nano lo prese da dietro e cominciò a sforbiciargli via tutti i dread, uno alla volta. Cime, ciuffi, nodi che il bastardo avrebbe solo potuto comprare, volarono per tutta la stanza. Alla ricerca della gola, il nano fece un errore di superbia: considerò troppo lungo il suo braccio che non stringeva più la testa del vendicativo. E poi, non erano rimasti molti appigli.

Gulliter potè finalmente prenderlo tra le braccia. E lo schiaffeggiò. Lo mise a sedere, mentre a stento tratteneva le lacrime. Pianse, il maledetto. E quando pianse, Gulliter capì quanto miserevoli riescono ad essere alcuni personaggi che si dipingono come eroi, statisti, dittatori, stronzi. “Anche gli stronzi piangono”, pensò.
Inoffensivo, Brattasconi era legato alla sedia con del nastro isolante che gli fermava i polsi e le caviglie. Poteva parlare ma non lo faceva, il codardo. Gulliter, enorme, cornuto e davvero stanchissimo, abbassò la patta dei pantaloni e decise di pisciare sulla testa del nano. Aveva letto da qualche parte che era allergico all’ammoniaca.
“Ecco qui, cesso. Ora dimmi: da dove si tira l’acqua?”
Quello non c’era scritto sulla rivista. Fottuta legge sulla privacy.

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