MeltedMan – PESCA D’ALTA QUOTA

 

Dopo il buio la luce.

Un giorno come gli altri.

Ti trascini appresso l’angoscia dell’ennesimo incubo.

Fino al bar dell’angolo.

Dieci, venti, trenta passi.

Il barista ti osserva… ed aspetta.

 

Dieci, venti, trenta secondi.

 

Cerchi la prima frase.

Ma la musica ronza ancora in testa.

Ancora quel motivetto.

Il barista ti fissa… ed aspetta.

 

Come spiegare che pochi minuti fa eri in cima ad un rupe.

Che eri un ottimo pranzo.

Che i resti, i tuoi resti sono stati usati per la pesca.

Che le onde erano musica.

Che i pesci sono morti.

Non hanno gradito gli avanzi.

 

Il barista non guarda… ma aspetta.

 

Peschi la prima frase.

 

La solita routine.

 

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Sergio Branca – RISVEGLIO

 

La panna segue tutto il contorno
e riempie i due cerchi che formano la torta. Le fragole decorano
meravigliosamente la pietanza, una accanto all’altra. Un saporitissimo rosso su
di un saporitissimo bianco. Un buon pasticciere sa che abbellire un dolce è tecnica
antica e saggia. La torta ha forma di clessidra, due forme rotondanti unite da
un buonissimo segmento di puro gusto. Ed ecco la forchetta che affonda. Le
fragole si aprono dolcemente spruzzando del succo intenso. Ed il bianco cede a
poco a poco, e svela il pandispagna morbido. La forchetta non si stanca e passa
su tutte le bacche. Sono frettolosi i suoi denti. Prima  assaporano piano, poi sempre più golosi e
qualche fragola finisce sul pavimento. Ma non viene mangiato nemmeno un pezzo. Rimane tutto li sul tavolo. La
clessidra è ormai irriconoscibile e la panna è intrisa di liquore rossastro. Un
ronzio di mosche accompagna la frenesia della forchetta, che rimane immobile e
macchiata. Un buon pasticciere sa quando fermarsi e non esagerare. Risveglio!
Il chiavistello dovrebbe essere oliato bene, fa un casino ogni volta. il
secondino m’accompagna per il corridoio. Ronzio di mosche e passi pesanti. Dopo
un ora ci sono mocassini da per tutto. Neri, marroni, scamosciati e lucidi.
Risalgo lo sguardo piano piano. Le ginocchia, la cintura ed un viso con la
barba incolta. È l’accusa, e m’accusa di nuovo. M’accusa di aver dato 24
coltellate alla figlia della parte lesa. E prima d’averla seviziata e
violentata con una frusta da cucina, quelle per sbattere le uova. L’accusa ha
dei mocassini beige. La parte lesa delle scarpe nere con i lacci. Ne ho un paio
simile, con delle macchie rosse.                  

Antonella Bosco – KITINKA

 

 

 

 Per due occhi neri

hai abbandonato tutto e tutti

un giorno lontano.

 

Spoglia di ogni cosa

hai inseguito

il tuo sogno d’amore.

 

Nulla e nessuno

ti han fatto tornare

sui tuoi passi.

 

Quale miraggio hai visto

nel deserto delle tue parole?

 

Ed oggi che cerchi

disperatamente un oasi

non la sai trovare.

 

La sorgente alla quale attingevi

copiosamente un tempo

mostra ormai crepe

di una arsura ormai imminente

mentre tu… tu

hai ancora molta sete.

 

Gianni Cusumano – IL 5

 

 

Sul numero 5 arancione l’aria fa schifo. Sbuffate di pneumatico arso dall’asfalto si mescolano al puzzo di sudore e di piedi. Non a tutti puzzano i piedi, solo a quelli che camminano molto. E quassù ce n’è tanti, così. L’aria è ferma, come l’ultimo livido raggio di sole che, penetrando, si mescola ai neon, sporcandosi sui vetri. Sudiamo e resistiamo tutti sul numero 5. DING! Tocca al vecchio scendere. Quello che poco fa chiedeva in prestito una penna ai pendolari per scrivere la data di oggi sul biglietto. L’obliteratrice è rotta e lui vuole fare bella figura col controllare. Quando si è avvicinato agli ultimi posti mi ha guardato e non mi ha chiesto nulla. Forse ha capito che a me, di fare bella figura, proprio non mi interessa un cazzo. DING! Miriam, Alessia e sua madre, la grassona. Miriam veste all’occidentale, come tutte le quindicenni perbene che vede ogni giorno allacciate ai sedili posteriori delle auto dei  genitori, agli incroci del centro, mentre chiede l’elemosina. Miriam le scruta, con gli occhi color tabacco, e prende nota. Alessia e scalza, i piedi neri, sporchi come l’innocenza, l’esatta metà di Miriam. Ride e va bene a scuola. La mamma ci tiene a dirlo a tutti. Alessia è integrata, e va bene così. DING! Facce stanche di Africani del sud. Si trascinano dietro buste formato maxi piene zeppe di stracci di marca, roba “autentica”. Sono gli unici qui dentro ad avere un certo stile in fatto di abbigliamento. Anche loro, come Miriam e sua sorella, perfettamente integrati. DING! Amed, il mio vicino di casa. Lui non ha decisamente stile. Porta la stessa polo a righe da almeno una settimana e i piedi raccontano della sua giornata più di quanto possa fare lui con le parole. Non si trascina alcuna busta dietro, solo un grosso, pesante zaino verde di nylon. Questo gli ha permesso di integrarsi. DING! La prossima è la mia. Con gli occhi semichiusi mi prenoto, come fanno quegli idioti nei quiz a premi in TV. Ma non vincerò un milione di euro, stasera. O una macchina. O una pelliccia di visone. Tutti sul numero 5 hanno perso. Tutti sul numero 5 sono stati squalificati. Ma ci prenotiamo lo stesso. E vinciamo la fine di un’altra giornata di merda. Su questo cesso ambulante senza aria condizionata nessuno di noi ha desideri depositati su un conto corrente.Ma siamo integrati. Raccolgo le forze e mi alzo, sostenendomi con un braccio al corrimano. Barcollo verso l’uscita e mi allineo il cazzo alla patta, che nel frattempo mi si è fatto duro. Mi capita sempre prima di addormentarmi. Poi la porta sbuffa e una ventata di calore pneumatico mi investe la faccia. E la porta di casa è lì davanti.    

Er Bubba – Senza titolo

 

 

  Occhio di rabbia è rimasto quindici giorni
a contemplare il cielo:
perduto nella violenza del proprio pensiero.

Fresco il vento di montagna accarezzava
il bollore del corpo;
lontana la danza di gente avida d’acqua e carne.

Non voglio nessuno e nessuno esiste, diceva…
niente vale la pena pensava
e mentre pensava scoppiava
di sangue e saliva:
corpo alla deriva mentre la gente
muore per un tozzo di pane;
indolenza di un cane senza guerra.

Bianca l’erba al sole respira di vento
muove la notte oltre la collina
e s’alza il vento.

 

Pino Amaddeo – IL SINGHIOZZO DI MIA MADRE

 

 

Questo conformarsi
all’ anticonformismo folcloristico
questo gran rispetto
per i nemici della vita
questo mio sforzo
nel digerire spazzatura
questa strafottenza
che non sarà mai capace di ballare
questi signori
che contano ansiosi i miei giorni
questa mancanza di prove
per sbattermi in galera
questa legalità
che è semplicemente un gioco di potere
questo singhiozzo di mia madre
che passa soltanto col vino rosso.
 

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Francesco Villari – …E PARLAMI ADESSO DELLA PARITA’ TRA I SESSI!

 

 

dovrebbe arrivare oggi.

 

se ne parla da tempo e non voglio rimandare.

vestito di rosso, il momento magico si avvicina alla
porta di casa e bussa.

 

scatta l’assalto.

 

lo imprigiono come fosse la farfalla rara

buona per la mia collezione di lucertole, che per una
volta,

mangeranno bene.

 

era ora.

 

stavo facendone una malattia.

 

padrone dei miei mezzi illeciti

parlavo col barbone che dorme nell’androne

dell’arrivo di un adone,

che non sia più io il coglione.

 

i difetti stanno per sconfiggere le mosche,

come fossero il deterrente preferito per le parole

agli occhi del vecchio che mi guarda ancora.

 

da sdraiato sembrerebbe impossibile riuscirci.

 

ci riesce grazie all’intuito

che sembra creare un casco,

come a cingere la scatola cranica di un’aria refrattaria.

 

escludo il condizionale,

la condizionale non si può.

e parlami adesso della parità tra i sessi.

 

è arrivato, il figlio di puttana.

 

Greg, il clown del circo,

con il naso nero e gli occhi viola, mi osserva.

 

LIZ TAYLOR!

 

mette nel cappello delle offerte la sua fetta di torta,

ingordo,

e mi guardo alle spalle inconsapevole e stupido

se solo pensassi al reale.

 

i nanetti stanno ai miei piedi ma non sembrano
minacciosi.

(sono il moccioso che son sempre stato)

 

faccio la mia mossa, prima che scompaiano tutte le
pedeine.

 

da oggi non risponderò più al telefono.

 

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Lorenzo Vilasi: LA LINGUA NEI SOGNI


 
 
La lingua nei sogni
non è quella che usi da sveglio
mastichi parole che credi siano uguali
a volte sogni di sognare
che qualcuno ti sta per parlare
accumuli parole e luoghi da ritrovare
persone uniche da ricordare
attraversi un campo dove tutti bisbigliano
e non sai da dove cominciare
fonema minimale.
 
La lingua nei sogni
non è quella che usi da sveglio
come una sveglia che non suona mai
per ricordarti che non devi parlare.
 
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